Il recesso dallo Studio Associato o dalla S.T.P. previsione di una durata superiore alla durata della vita dei soci

La realtà del mondo professionale italiano ha visto, e continua a vedere, l’avanzare degli Studi organizzati in forma associativa o societaria. Cioè in forma di Studi Associati o di S.T.P. (per i cui tratti essenziali vedi Operazioni di aggregazione e acquisizione tra studi ).

Spesso accade che uno dei professionisti decida di uscire dallo Studio (ad es. per dissidi insanabili con gli altri soci o per la volontà di mettersi totalmente in proprio) o sia costretto a farlo (ad es. per sopraggiunti motivi di età). La soluzione preferibile è, ovviamente, la compravendita della quota del socio uscente, da parte degli altri soci rimanenti. In mancanza di accordo, ci possono comunque essere i presupposti affinché il socio eserciti il proprio diritto di recesso, con conseguente liquidazione allo stesso della propria quota (per i criteri di liquidazione della quota vedi articolo Criteri di valutazione della quota di uno studio associato ).

La normativa sul recesso è diversa a seconda che si versi in ipotesi di società di persone (art. 2285 c.c.) o s.r.l. (art. 2473 c.c.) o s.p.a. (art. 2437 c.c.). La prima norma viene in rilievo anche per gli Studi Associati, che vengono generalmente equiparati alle società semplici. Per quanto riguarda, invece, le S.T.P. (ma anche le c.d. società di servizi, delle quali abbiamo parlato in Attività Professionale affiancata da una società di servizi: la valida clausola del contratto di affitto d’azienda con opzione di acquisto ) bisogna invece prestare attenzione al tipo societario scelto in sede di costituzione. 

Ciò premesso, va chiarito che l’analisi delle diverse ipotesi di diritto di recesso non può essere condensata in un articolo. Oggetto del presente contributo, pertanto, è  soltanto l’ipotesi di recesso da uno Studio Associato o da una società, la cui durata, prevista nello statuto, sia “molto lunga”, tale da superare la durata presumibile della vita dei soci.

Con riferimento alle società di persone, “ogni socio può recedere dalla società quando questa è contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci” (art. 2285 c.c.), mentre nelle s.r.l. o nelle s.p.a. non quotate il diritto di recesso è concesso qualora la società sia costituita a tempo indeterminato (quindi: senza alcun riferimento alla vita dei soci). 

Ci si è però chiesti se in presenza della previsione di una durata “molto lunga” (ad es. fino al 2100) si possa comunque riconoscere al socio il diritto di recesso, sebbene, formalmente, la durata prevista della società non sia indeterminata.

Al riguardo la giurisprudenza è sempre stata unanime (e lo è ancora) nel ritenere che il socio di una società di persone  abbia diritto a recedere da una società contratta per una durata molto lunga.

Per quanto riguarda le società di capitali, la stessa equiparazione durata molto lunga / tempo indeterminato era stata sancita dalla sentenza della Cassazione n. 9662 del 2013 (ove testualmente si legge che in tema di s.r.l.

la previsione statutaria di una durata della società per un termine particolarmente lungo (nella specie, l’anno 2100) tale da superare qualsiasi orizzonte previsionale anche per un soggetto collettivo, ne determina l’assimilabilità ad una società a tempo indeterminato.

In altri termini, la Corte dava rilievo al superamento o meno della “ragionevole data di compimento di un progetto imprenditoriale”.

Tale interpretazione è stata però recentemente superata da due successive pronunce, sempre del giudice di legittimità: l’ordinanza n. 8962 del 2019 e la sentenza n. 4716 del 2020 (anch’essa riferita al caso di una società la cui durata era stata fissata al 31/12/2100).

Nell’ultima, in particolare, gli Ermellini evidenziano le diverse esigenze di tutela dei creditori sociali, che, in relazione alle società di persone, fanno affidamento soprattutto sul patrimonio personale dei singoli soci, mentre, nelle società di capitali, hanno interesse, principalmente, al mantenimento dell’integrità del patrimonio sociale. 

Di qui la conseguenza che è preferibile “un’interpretazione restrittiva, tesa a non incrementare a dismisura le cause che legittimano l’uscita dalla società” di capitali, con conseguente divieto di assimilare le due ipotesi di diritto di recesso. 

Oltretutto, ha notato il collegio giudicante, il riferimento ai criteri della durata della vita umana e/o del progetto imprenditoriale, rischia – e come dar loro torto – di rendere eccessivamente incerta l’applicazione della norma, così come interpretata, nella prassi.

In conclusione, secondo i giudici del Palazzaccio, il socio di una società di capitali contratta per una durata anche “molto lunga” non ha diritto di recesso, non essendo tale ipotesi assimilabile a quella della società contratta a tempo indeterminato.

Quanto sopra esposto ha ovviamente conseguenze anche nel mondo degli Studi professionali non individuali.

Infatti:

1) nella previsione della durata di uno Studio Associato o di una S.T.P./società di persone è importante prevedere una durata non eccessiva e comunque non manifestamente più lunga della vita dei fondatori, al fine di evitare il “bug del recesso”;

2) dopo le ultime pronunce della Cassazione, sembra si possa affermare che, con riferimento alla tematica sopra analizzata, il socio di una S.T.P./società di capitali abbia il diritto di recesso solo quando nello statuto manchi l’indicazione della durata della società stessa. 

Ancora una volta, quindi viene alla luce l’importanza dello statuto nella vita di uno Studio Associato o di una S.T.P. (sugli altri aspetti di tale importanza, vedi STP ed associazioni professionali attenzione allo statuto).