Dall’Europa una conferma sul trattamento dei dipendenti in caso di cessione di Studi professionali individuali

In un precedente contributo avevo analizzato la tematica del subentro, da parte del cessionario, nei rapporti con i dipendenti del cedente, nell’ambito delle operazioni di m&a di attività professionali (https://mpopartners.com/articoli/trasferimento-studio-subentro-rapporti-lavoro/), soffermandomi, in particolare, sull’analisi della disciplina relativa al trattamento dei dipendenti in caso di trasferimento d’azienda, applicabile in tutti i casi in cui l’operazione di cessione-acquisizione non si perfezioni mediante una compravendita di quote (di studio associato, di s.t.p. o di società di servizi). 

Proprio di recente la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sent. n. 583/21 del 16/11/2023 ha confermato che “l’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, deve essere interpretato nel senso che tale direttiva è applicabile a una situazione in cui un notaio, pubblico ufficiale e datore di lavoro privato dei lavoratori attivi nel suo studio notarile, succeda al precedente titolare di un siffatto studio”.

Ai fini del diritto dell’Unione, quindi, le attività svolte nell’ambito di diverse professioni regolamentate, se anche comportano di frequente, negli ordinamenti giuridici nazionali, l’obbligo per i professionisti che le compiono di perseguire (anche) un obiettivo di interesse generale, sono comunque pienamente qualificabili come “attività economiche” (anche se svolte da soggetti che ricoprono la qualifica di pubblici ufficiali, quali i notai).

Infatti, “la nozione di “attività economica” comprende qualsiasi attività consistente nell’offerta di beni o servizi su un determinato mercato.

 

Un altro spunto interessante è offerto dalla nozione di “trasferimento”, ormai da considerarsi consolidata: “Il criterio decisivo per stabilire se si configuri un “trasferimento” ai sensi di tale direttiva consiste nella circostanza che l’entità in questione conservi la propria identità, il che si desume, in particolare, dal fatto che la sua gestione sia stata effettivamente proseguita o ripresa (v., in tal senso, sentenza del 16 febbraio 2023, S.C., C-675/21, EU:C:2023:108, punti 37 e 38 nonché giurisprudenza ivi citata).

Al riguardo la Corte ha addirittura precisato che può sussistere un “trasferimento” anche in assenza di un legame contrattuale tra cedente e cessionario: infatti “l’ambito di applicazione di tale direttiva si estende a tutti i casi di cambiamento, nell’ambito di rapporti contrattuali, della persona fisica o giuridica responsabile della gestione dell’ impresa, la quale assume le obbligazioni del datore di lavoro nei confronti dei dipendenti dell’ impresa stessa.”

La Corte di Giustizia ha pertanto confermato quanto già sostenuto nel mio precedente contributo e, cioè, che, operazioni di m&a di attività professionali, la disciplina del trasferimento d’azienda si applica anche nel caso in cui la parte cedente sia un professionista-persona fisica, in forza dell’espresso rinvio di cui all’art. 2238 c.c. 

Anche nella fattispecie della cessione-acquisizione di uno Studio professionale individuale, pertanto, trova applicazione l’art. 2112 c.c., ai sensi del quale “il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.” 

Si noti, comunque, che la disposizione parla di “continuazione” del rapporto di lavoro. Ne consegue che l’art. 2112 c.c. “è applicabile unicamente ai rapporti di lavoro ancora in corso al momento della cessione dell’azienda” e, per converso, “non può trovare applicazione relativamente ai rapporti di lavoro cessati ed esauriti anteriormente all’attuato trasferimento” (così Trib. Cassino, sent. 27.06.2008).

Infatti “in caso di cessione d’azienda, l’alienante conserva il potere di recesso attribuitogli dalla normativa generale, sicché il trasferimento, sebbene non possa esserne l’unica ragione giustificativa, non può impedire il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, sempre che abbia fondamento nella struttura aziendale autonomamente considerata e non nella connessione con il trasferimento o nella finalità di agevolarlo” (Cass. civ., Sez. lavoro, Sent. n. 11410 del 11/05/2018).

La Corte di Cassazione ha poi ritenuto illegittima la prassi che il cedente licenzi i propri dipendenti, che vengano poi assunti dal cessionario, soprattutto se a nuove (e peggiorative) condizioni: “in sostanza è nullo il recesso che si fondi in via esclusiva sulla connessione con il passaggio da un soggetto ad un altro di un servizio e si realizzi, come nella specie, attraverso una nuova assunzione con contratto, peraltro a tempo determinato e con apposizione del patto di prova, del personale già in servizio presso la società incaricata della gestione della medesima attività.” (Cass. civ., Sez. lavoro, Ord. n. 7391 del 07/03/2022).

Altro aspetto importante è che, in relazione ai crediti maturati dal lavoratore nei confronti del cedente, il secondo comma dell’art. 2112 c.c. stabilisce che, per gli stessi, è obbligato in solido anche il cessionario. Ovviamente il cessionario, se chiamato a pagare debiti pregressi del cedente, avrà comunque la facoltà di rivalersi su quest’ultimo. 

Ai fini pratici, si può quindi impostare l’operazione di m&a con la previsione del pagamento di parte del corrispettivo di cessione mediante accollo, da parte del cessionario, dell’intero TFR del lavoratore (senza rischi per il cedente).

Infatti, da un lato, il lavoratore non ha diritto al percepimento del TFR al momento del trasferimento dell’azienda, perché, appunto, si verifica una “continuazione” del rapporto e non una “cessazione”: il diritto al percepimento (salve ovviamente eventuali richieste di anticipo del TFR stesso) sorgerà, infatti, solo con dimissioni/licenziamento/pensionamento del lavoratore. 

Dall’altro, va evidenziato che la regola della solidarietà può essere comunque parzialmente derogata, con il consenso del lavoratore, che, sempre ai sensi del secondo comma dell’art. 2112 c.c., con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile (cioè davanti alla commissione di conciliazione presso la Direzione provinciale del lavoro) può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.