Come illustrato più approfonditamente in un nostro precedente contributo Recesso dallo studio associato: quadro normativo civilistico e fiscale, al recesso del socio dallo Studio Associato si ritengono applicabili, per analogia, gli artt. 2285 e ss. c.c., che disciplinano il recesso del socio dalla società semplice (e quindi da una società di persone in generale, in forza dei rinvii operati dagli artt. 2293 e 2315 c.c.).
L’istituto del recesso di un socio da uno Studio Associato è quindi disciplinato dall’art. 2285 c.c., che così dispone “Ogni socio può recedere dalla società quando questa è contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci. Può inoltre recedere nei casi previsti nel contratto sociale ovvero quando sussiste una giusta causa. Nei casi previsti nel primo comma il recesso deve essere comunicato agli altri soci con un preavviso di almeno tre mesi”.
Oggetto del presente contributo è un focus sull’eventualità che il socio receduto possa iniziare a fare concorrenza al suo precedente Studio Associato.
In particolare, “portando via” i clienti a lui più fidelizzati.
Al riguardo va premesso che, come già più ampiamente analizzato in precedenza il legislatore non pone, in capo al socio uscente, alcun divieto di concorrenza.
Ma è pur vero che, in alcuni casi, e con determinati limiti, tale divieto può sussistere: ad es. se stabilito contrattualmente o se ricavabile da un’interpretazione analogica dell’art. 2557 c.c. (che stabilisce il divieto di concorrenza a carico di chi cede un’azienda).
Al riguardo, per una disamina più approfondita delle questioni sopra delineate, si rinvia a La posizione del socio che recede dallo Studio Associato.
Al di fuori delle predette ipotesi, è pacifico che, dopo il recesso, il socio possa iniziare ad esercitare un’attività concorrenziale con quella del suo “vecchio” Studio.
Tale fattispecie è stata recentemente oggetto di una pronuncia della Corte di Cassazione (ord. n. 23010 del 2023).
Il caso sottoposto ai Giudici del Palazzaccio vedeva un socio-amministratore di una S.a.s., esercente attività agenzia assicurativa che, dopo aver esercitato il proprio diritto di recesso, costituiva una nuova società, esercente la medesima attività, e trasferiva alla stessa il “portafoglio clienti” della vecchia.
L’aspetto centrale della questione, sul quale in questa sede si vuole fare qualche riflessione, è lo iato temporale tra il momento della comunicazione del recesso (atto unilaterale recettizio, destinato, cioè, a produrre effetto nel momento in cui giunge a conoscenza del destinatario, i.e. gli altri soci) e il momento in cui il recesso inizia a produrre effetti.
Come visto sopra, al di fuori delle ipotesi di recesso per giusta causa (che produce subito i propri effetti) e di quelle previste dallo Statuto, l’art. 2285 c.c. prevede un obbligo di preavviso di almeno tre mesi.
Al riguardo è fondamentale considerare che, nell’arco del “periodo di preavviso” (i tre mesi di legge o la diversa durata eventualmente prevista per le ipotesi statutarie), il recedente rimane comunque “socio” con tutte le relative conseguenze.
È infatti responsabile per gli obblighi sociali sorti nel medesimo periodo.
Infatti solo il socio che recede per giusta causa vede sciolto ad nutum il proprio vincolo ed è quindi tenuto a rispondere, eventualmente, soltanto dei debiti sociali già sorti (al riguardo si vd. Cass. Civ. n. 13063 del 2002 e n. 9899 del 1997).
Inoltre, come chiarito dalla suddetta Cass. Civ. ord. n. 23010 del 2023, è altresì tenuto ad osservare il divieto di concorrenza disposto dall’art. 2301 c.c., ai sensi del quale “il socio non può, senza il consenso degli altri soci, esercitare per conto proprio o altrui un’attività concorrente con quella della società, né partecipare come socio illimitatamente responsabile ad altra società concorrente. Il consenso si presume, se l’esercizio dell’attività o la partecipazione ad altra società preesisteva al contratto sociale, e gli altri soci ne erano a conoscenza. In caso d’inosservanza delle disposizioni del primo comma la società ha diritto al risarcimento del danno, salva l’applicazione dell’articolo 2286.”
Sulla base della suddetta norma, pertanto, nel caso sopra menzionato, il socio receduto era stato ritenuto responsabile di aver violato l’art. 2301 c.c. per il comportamento tenuto nel periodo in cui, pur dopo aver comunicato il proprio recesso, era comunque ancora, a tutti gli effetti, socio.
Va comunque notato che il divieto di concorrenza ex art. 2301 c.c. è posto a tutela della società, che, infatti, ha diritto al risarcimento del relativo danno (che peraltro, in concreto, può risultare difficile da provare).
Pertanto, la violazione del divieto di concorrenza sancito dall’art. 2301 non può essere desunta dal mero esercizio, da parte del socio, di un’attività dello stesso genere di quella prevista come oggetto sociale, occorrendo piuttosto la prova di una concreta situazione di concorrenza tra le due attività (si vd. al riguardo Trib. Milano 01/12/1988).
Alla luce di quanto sopra esposto, non si può non vedere l’importanza che lo Statuto disciplini compiutamente il divieto di concorrenza del socio (ed, eventualmente, dell’ex socio) e che, in ogni caso, all’indomani dell’esercizio del recesso, il socio recedente ed i soci rimanenti si accordino su tutte le questioni connesse all’avvenuto recesso (ad es. entità dell’indennità da recesso, gestione della società nel “periodo di preavviso”, eventuali impegni a mediazioni/arbitrati per prevenire o comunque mitigare eventuali futuri conflitti).