La qualificazione del reddito delle STP

Come già evidenziato in precedenti contributi, la società tra professionisti (S.T.P.) non costituisce un genere autonomo di modello societario.

Infatti, si sensi dell’art. 10, co. 3, L. 183/2011

è consentita la costituzione di società per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile. Le società cooperative di professionisti sono costituite da un numero di soci non inferiore a tre.

(Per una disamina in generale della disciplina delle S.T.P. si rimanda a S.T.P. e Operazioni di M&A e di aggregazioni tra Studi ).

Da ciò consegue che le regole di ogni singola S.T.P. saranno, in prima battuta, quelle proprie del modello societario prescelto.

Per l’Agenzia delle Entrate ciò vale anche dal punto di vista fiscale-tributario.

Infatti, dopo l’entrata in vigore della L.183/2011, più volte (Risposte nn. 954-93/2014, 107/2018 e 125/2018) ha chiarito che la S.T.P. applica l’ordinaria disciplina del reddito d’impresa di cui all’articolo 81 del TUIR, secondo cui “il reddito complessivo delle società e degli enti commerciali di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 73, da qualsiasi fonte provenga, è considerato reddito di impresa”.

Del resto, già in precedenza, con riferimento al reddito prodotto dalle società di ingegneria ex L. 109/1994, l’Agenzia delle Entrate aveva qualificato detto reddito come reddito d’impresa.

Pertanto, secondo l’amministrazione finanziaria, la S.T.P., a meno che non sia stata costituita secondo il modello della società semplice, produrrebbe sempre reddito d’impresa (non soggetto, quindi, alla ritenuta d’acconto).

Questa impostazione, a parere di chi scrive decisamente condivisibile, sia per ragioni di praticità e semplicità dei vari adempimenti tributari, sia perché aderente alla ratio della norma istitutiva delle S.T.P. (emanata con la finalità di favorire l’apertura, seppur limitata, del mondo professionale a quello

imprenditoriale), è stata tuttavia messa in dubbio dalla Corte di Cassazione con la sent. n. 7407/2021.

Nella suddetta pronuncia, gli Ermellini hanno ritenuto che

in tema di società di professionisti, ai fini della qualificazione del reddito come reddito di impresa o di lavoro autonomo, in mancanza di una disciplina speciale di natura fiscale, deve farsi riferimento alle regole generali civilistiche; pertanto, ai sensi dell’art. 2238 c.c., il reddito deve essere qualificato come di impresa quando l’esercizio della professione costituisca elemento di un’attività organizzata in forma di impresa, con prevalenza del carattere dell’organizzazione del lavoro altrui e del capitale sulla prestazione di lavoro intellettuale, sicché il reddito prodotto non possa essere riferito al solo lavoro del professionista ma debba ritenersi derivante dall’intera struttura imprenditoriale, mentre dovrà essere qualificato come di lavoro autonomo in difetto di dimostrazione di un’attività diversa e ulteriore rispetto all’apporto intellettuale, il quale non si configura come una delle componenti di una più complessa attività organizzata ma resta connotato dal requisito della personalità di cui all’art. 2232 c.c.

È evidente che l’adesione ad una simile interpretazione, comporterebbe, in pratica, una totale incertezza da parte di tutti gli operatori.

L’Agenzia delle Entrate, tuttavia, sembra voler disattendere completamente l’interpretazione offerta dalla Cassazione e, nella propria Risposta n. 600/2021 (successiva alla summenzionata sentenza) ha ribadito che

anche per le S.T.P. trovano conferma le previsioni di cui agli articoli 6, ultimo comma, e 81 del TUIR, per effetto delle quali il reddito complessivo delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, delle società e degli enti commerciali di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 73, comma 1, lettere a) e b), da qualsiasi fonte provenga, è considerato reddito di impresa. Ai fini della qualificazione del reddito prodotto dalle S.T.P., non assume alcuna rilevanza, pertanto, l’esercizio dell’attività professionale, risultando a tal fine determinante il fatto di operare in una veste giuridica societaria.

È quindi auspicabile che la suddetta sentenza n. 7407/2021 rimanga una pronuncia isolata e venga definitivamente superata (auspicio condiviso anche dalla più illustre dottrina, immediatamente dopo la pubblicazione).

Peraltro la stessa Corte di Cassazione, sulla tematica, dimostra una certa auto-contraddittorietà.

Infatti, in materia fallimentare, la Corte di Cassazione è da sempre lapidaria nell’escludere l’ammissione al privilegio dei crediti di società di capitali seppur relativi a prestazioni d’opera professionale.

Infatti, secondo la ormai consolidata giurisprudenza, l’art. 2751-bis, n. 2 c.c., che riconosce un privilegio generale ai crediti riguardanti “le retribuzioni dei professionisti, compresi il contributo integrativo da versare alla rispettiva cassa di previdenza ed assistenza e il credito di rivalsa per l’imposta sul valore aggiunto, e di ogni altro prestatore d’opera intellettuale dovute per gli ultimi due anni di prestazione”, si applica solo al professionista-persona fisica.

E, secondo i giudici di legittimità, “principi così consolidati” non sono “superabili in forza del semplicistico rilievo che la “sostanza dei rapporti” dovrebbe prevalere sullo “schermo societario“ (Cass. Civ., Ord. n. 12574/2021).

Non si può però non notare che, per gli stessi giudici di legittimità, invece, in tema di qualificazione della natura del reddito delle S.T.P., l’asserita “sostanza dei rapporti” prevale proprio sullo “schermo societario”!