Come illustrato più approfonditamente in un nostro precedente contributo (Recesso dallo studio associato: quadro normativo civilistico e fiscale), al recesso del socio dallo Studio Associato si ritengono applicabili, per analogia, gli artt. 2285 e ss. c.c., che disciplinano il recesso del socio dalla società semplice (e quindi da una società di persone in generale, in forza dei rinvii operati dagli artt. 2293 e 2315 c.c.).
L’istituto del recesso di un socio da uno Studio Associato è quindi disciplinato dall’art. 2285 c.c., che così dispone “Ogni socio può recedere dalla società quando questa è contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci. Può inoltre recedere nei casi previsti nel contratto sociale ovvero quando sussiste una giusta causa. Nei casi previsti nel primo comma il recesso deve essere comunicato agli altri soci con un preavviso di almeno tre mesi”.
Oggetto del presente contributo è un focus sugli aspetti principali della posizione del socio che recede da uno Studio Associato.
Dalla norma sopra citata, pertanto, si evince innanzitutto che gli può recedere solo quando:
- lo statuto dello Studio non preveda una durata prestabilita del vincolo associativo o ne preveda una “troppo lunga” (per un approfondimento sul tema si rinvia al mio precedente contributo: Il recesso dallo Studio Associato o dalla S.T.P. previsione di una durata superiore alla durata della vita dei soci );
- sussista una giusta causa;
- lo statuto dello Studio preveda espressamente ulteriori ipotesi (e ricorra una di esse);
Con riguardo alla nozione di “giusta causa”, va precisato che, se da un lato il Legislatore non ne dà una precisa definizione, dall’altro la giurisprudenza e la dottrina hanno ormai chiarito che essa consista in un atto o in un fatto che legittima l’estinzione anticipata di un rapporto contrattuale.
Per quanto riguarda il tema trattato nel presente contributo è sicuramente interessante ricordare che la Corte di Cassazione ha evidenziato che “nelle società di persone composte da due soli soci, il dissidio tra questi imputabile al comportamento di uno dei due gravemente inadempiente agli obblighi contrattuali ovvero ai doveri di fedeltà, lealtà, diligenza o correttezza inerenti alla natura fiduciaria del rapporto societario, rileva come giusta causa di recesso del socio adempiente” (Cass. Civ. n. 18243 del 2004).
Al di fuori dell’ipotesi del recesso per giusta causa, il socio recedente deve comunicare la propria volontà con un preavviso di tre mesi.
Detta comunicazione, come dice la norma stessa, va indirizzata non alla società/allo Studio Associato ma, personalmente, agli altri soci.
Inoltre è importante considerare che, nell’arco dei suddetti tre mesi, il recedente in questione rimane comunque “socio” con tutte le relative conseguenze, prima tra tutte l’eventuale responsabilità per gli obblighi sociali sorti nel medesimo periodo.
Infatti solo il socio che recede per giusta causa vede sciolto ad nutum il proprio vincolo ed è quindi tenuto a rispondere, eventualmente, soltanto dei debiti sociali già sorti (al riguardo si vd. Cass. Civ. n. 13063 del 2002 e n. 9899 del 1997).
Ovviamente possono sussistere più motivi che potrebbero legittimare uno socio a recedere dallo Studio Associato: ad es. lo statuto può prevedere una durata indeterminata dell’associazione e la facoltà, per i soci, di recedere liberamente.
Al socio che voglia recedere da uno Studio Associato potrà però essere molto utile, prima di compiere mosse, appurare se, indipendentemente da altri motivi, il suo futuro recesso possa fondarsi o meno su una giusta causa.
Proprio perché ciò avrà notevoli riflessi sia sull’obbligo, o meno, del preavviso agli altri soci, sia sulla responsabilità, o meno, del socio in procinto di recedere per gli obblighi sociali che verranno assunti dallo Studio nell’arco dei tre mesi successivi alla comunicazione.
La dichiarazione di recesso è un atto unilaterale recettizio: in altri termini, produce effetto nel momento in cui giunge a conoscenza del destinatario della comunicazione (nel caso in esame: gli altri soci).
Ne consegue che, una volta che ciò sia avvenuto, l’esercizio del diritto di recesso sarà ormai perfezionato ed il recedente non potrà più validamente revocarlo, se non con il consenso di tutti gli altri soci. Al riguardo la Corte di Cassazione ha infatti precisato che “non è esclusa, peraltro, la facoltà di revoca del recesso da parte del socio, in quanto la prevalenza del rapporto volontaristico-collaborativo fra i soci comporta che una diversa comune volontà possa essere espressa, almeno fino a che non si sia proceduto alla liquidazione della quota del socio uscente mediante la revoca della precedente volontà di scioglimento del singolo rapporto sociale, sempre che sussista la concorde volontà di tutti i soci in tal senso.” (Cass. Civ. n. 20544 del 2009).
Dopo aver receduto dallo Studio Associato, l’ (ex) socio, ai sensi dell’art. 2289 c.c., ha diritto a ricevere il pagamento di una somma di denaro che rappresenti il valore della sua quota entro sei mesi dal giorno di efficacia del recesso.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sent. n. 291 del 2000 hanno definitivamente chiarito che il soggetto gravato dall’obbligazione è la società (nel nostro caso: lo Studio) e non i singoli soci.
Questa, pertanto, dovrà essere convenuta nell’eventuale giudizio volto ad accertare il mancato pagamento, totale o parziale, della suddetta indennità da recesso.
Ci può infatti essere differenza di vedute sul metodo utilizzato dallo società/dallo Studio per la liquidazione della quota del socio receduto (per un approfondimento sui criteri di calcolo si vd. Criteri di valutazione della quota di uno studio associato in ipotesi di recesso) e può, di conseguenza, accadere che il socio receduto non sia d’accordo con la metodologia utilizzata dallo Studio.
Alla luce di ciò può quindi essere utile che, all’indomani dell’esercizio del recesso, il socio recedente provi ad accordarsi con i soci rimanenti sull’entità dell’indennità da recesso che gli verrà corrisposta o, comunque, che entrambe le parti adottino le soluzioni migliori (ad es. condivisione di documenti, di vedute, coinvolgimento di un soggetto terzo ed imparziale etc.) per prevenire futuri conflitti.