Il bug della duplicazione dei contributi previdenziali nelle S.T.P. e nelle S.T.A.

Dal 01/01/2022 è entrato in vigore il regolamento di Cassa Forense che disciplina gli aspetti previdenziali per l’esercizio in forma societaria della professione (c.d. Regolamento S.T.A.)

Di seguito i principali punti.

1) La STA è tenuta a compilare ed inviare a Cassa Forense il Modello 5 ter, nel quale vanno indicati (tra l’altro): i] l’ammontare del reddito complessivo prodotto, anche se negativo; ii] il volume d’affari IVA al netto del contributo integrativo; iii] l’ammontare degli utili, anche se non distribuiti; iv] i compensi versati a ciascun socio iscritto a Cassa Forense, nonché le percentuali di partecipazione agli utili di ogni socio, anche non iscritto a Cassa (art. 4).

2) In relazione al contributo integrativo, la STA è tenuta ad applicare la maggiorazione del 4% su tutti i corrispettivi rientranti nel volume di affari ai fini IVA e, quindi, a versare l’ammontare complessivo della maggiorazione a Cassa Forense, a prescindere dall’effettivo pagamento eseguito dal cliente (art. 1).

3) Il singolo socio-avvocato dovrà comunicare con il Modello 5 la “base” sulla quale calcolare il contributo soggettivo da versare. A tal fine il Regolamento precisa che sono equiparati al reddito netto professionale e sono quindi soggetti a detto contributo “il reddito prodotto dalla Società Tra Avvocati attribuibile al socio iscritto a Cassa Forense, nonché ogni altro provento da lui percepito, ivi compreso il compenso e le indennità ricevuti quale componente dell’organo amministrativo di gestione della Società Tra Avvocati” (art. 8).

Il trattamento previdenziale del socio di una STA è quindi analogo a quello dei soci di una STP soggetti, a seconda dei casi, alle Casse di Previdenza dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, dei Ragionieri e dei Consulenti del Lavoro.

Si pone quindi per tutti i suddetti professionisti il medesimo problema: cioè la “duplicazione” dei contributi previdenziali in tutti i casi in cui ricevano compensi dalla STP/STA per prestazioni, da quest’ultima poi fatturate al cliente finale.

In altri termini: tutte le volte in cui il socio professionista non si limita alla sola percezione di utili dalla STP/STA, “paga doppio”!

Si pensi proprio al caso in cui un cliente paghi 100 (di compensi) alla STA e l’avvocato che lo ha seguito (socio al 50%), fatturi alla stessa, a titolo di compensi per prestazioni professionali, 50.

  1. a) La STA fatturerà, al cliente, 104 (oltre IVA e al netto di RA) e pagherà 4 alla Cassa a titolo di contributo integrativo mentre, a sua volta, l’avvocato fatturerà, alla STA, 52 (oltre IVA e al netto di RA) e pagherà 2 a titolo di contributo integrativo alla Cassa ( somme versate alla Cassa = 6);
  2. b) l’ipotetica quota utili dell’avvocato sarà 25 (cioè il 50% dei 100 incassati dalla STA dal cliente – i 50 pagati dalla STA all’avvocato, che per la STA medesima rappresentano una voce di costo): pertanto dovrà pagare un contributo soggettivo sulla base di 75 (50 percepiti a titolo di compensi dalla STA + 25 quota utili).

Viceversa, qualora il socio-avvocato non fatturi alla STA ma si limiti a percepire dalla stessa la sua quota utili (pari a 50, cioè al 50% dei 100 pagati dal cliente):

  1. a) l’unico contributo integrativo che verrà pagato alla Cassa sarà quello di 4 di competenza della STA;
  2. b) il contributo soggettivo del socio-avvocato sarà calcolato sulla base di 50 (cioè la sua sola quota-utili) e non, come nel primo esempio, di 75.

È quindi evidente che il socio-avvocato ha un forte disincentivo a ricevere compensi/indennità dalla propria società (che non siano sotto forma di utili): proprio per la summenzionata “duplicazione” dei contributi previdenziali.

Ciò non può non avere evidenti freni all’aggregazione mediante STA/STP, soprattutto da parte di professionisti ancora in fase di crescita professionale.

Nella prassi finora riscontrata, infatti, molti professionisti contano di integrare i propri utili (magari “bassi” perché la quota detenuta è marginale) fatturando compensi professionali alla STA/STP.

Si pensi ad es. al socio che, pur avendo una quota “piccola”, porta un nuovo cliente in Società e/o che lavora per un monte ore che, paragonato a quello degli altri soci, risulta sproporzionato in relazione alla propria percentuale.

Ci si domanda: che incentivo avrebbe a portare nuova clientela/lavorare di più?

Non solo: come già esaminato in un nostro precedente contributo ( https://mpopartners.com/articoli/aggregazione-professionisti-conviene-costituire-stp/ ) quando un professionista decide di apportare la propria attività professionale, comprensiva anche della clientela, in una STP, l’operazione è fiscalmente rilevante ed il corrispettivo percepito per il conferimento della clientela è inquadrabile ai sensi dell’art. 54 TUIR.

Al suddetto corrispettivo dovranno quindi applicarsi tutte le considerazione sopra svolte in merito alla “duplicazione” dei contributi previdenziali.

Ulteriore ostacolo all’esigenza aggregativa dei professionisti.

Non si può quindi non auspicare, anche sotto l’aspetto della normativa previdenziale, una modifica dell’attuale sistema.

Intervento che non può più essere procrastinato.

Ad oggi, tuttavia, risulta che le istituzioni siano “sorde” al problema.

Infatti, l’Assemblea dei Delegati di CNPADC ha deliberato in data 05 febbraio 2020 una modifica regolamentare che prevede la decurtazione, dall’ammontare complessivo del contributo integrativo da versare, dell’importo del medesimo contributo riferito ai corrispettivi emessi dal professionista alla STP di cui è socio. Tale delibera, tuttavia, non risulta essere stata approvata dai Ministeri vigilanti.

 

E, da ultimo, il Regolamento STA sembra totalmente incurante della questione!