Cessione studio Commercialista: affitto d’azienda possibile anche a canone crescente

a cura di MPO & Partners

Premesse

Come già ampiamente esposto nel corso di precedenti articoli il contratto di affitto d’azienda, regolamentato dagli articoli 2561 e 2562 del Codice Civile, prevede che il proprietario di un’azienda ceda la gestione della stessa ad un terzo in cambio di un canone periodico, senza perderne la proprietà.

Le condizioni sono che l’affittuario possa disporre liberamente dei beni, avendo però l’obbligo di riconsegnarli nelle stesse condizioni di quando li aveva ricevuti, inoltre l’articolo 2561 introduce per l’affittuario anche l’obbligo di mantenimento dell’efficienza dell’azienda. Ne consegue che l’affittuario, salvo deroghe esplicitate contrattualmente, è legittimato a dedurre fiscalmente gli ammortamenti sui beni dell’azienda, che è anche una delle ragioni per cui questa tipologia contrattuale risulta conveniente. L’unica corresponsabilità dell’affittuario sui debiti pregressi è quella riguardante i debiti verso i dipendenti (ex art. 2212 C.C.).

 

L’affitto d’azienda nella cessione dello studio di Commercialista – Consulente del Lavoro

Quanto detto fino ad ora vale anche per la cessione dello studio di commercialista – consulente del lavoro. In questo ambito, infatti, le operazioni di affitto d’azienda con diritto di riscatto finale si stanno sempre più diffondendo sia per i vantaggi che comportano in termini di gestione, sia a livello fiscale.

Come abbiamo già detto, infatti, questo tipo di contratto è ideale nei casi in cui l’attività che viene trasferita stia attraversando un periodo di difficoltà e necessiti di essere ristrutturata. Un affittuario potrebbe aiutare l’attività in questo passaggio, senza essere oberato dai debiti che rimarrebbero comunque in capo all’affittante, e al termine del periodo di affitto, sulla base dei miglioramenti dello studio, dei rapporti con il professionista uscente, dei rapporti instaurati con la clientela, potrà decidere di riscattare lo studio.

La convenienza dell’affitto d’azienda, però, non è da considerare solo in relazione alla gestione, ma anche da un punto di vista fiscale.

Come effetto del contratto d’affitto, infatti, l’affittuario acquisisce la qualifica di ‘imprenditore’, pertanto i canoni corrisposti per l’affitto d’azienda, in quanto costi per godimento di beni di terzi, sono deducibili dal reddito d’impresa secondo gli ordinari criteri di competenza stabiliti dall’art. 109 del TUIR. In merito alla pattuizione dei canoni di locazione ci si è posti l’interrogativo sulla legittimità o meno della clausola che prevede un canone differenziato nel tempo (ad esempio crescente nel corso della durata del contratto).

Su tale tema è intervenuta di recente la Corte di Cassazione (Cfr. sentenza n. 22909 del 10/11/2016) la quale ha confermato la validità della clausola che prevede la pattuizione di un canone di locazione in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto per il principio “dell’incondizionata facoltà per le parti, secondo la loro libera valutazione espressa al momento della stipulazione del contratto di locazione ….di assicurare al locatore un corrispettivo maggiore, in termini di valore reale e non nominalistico, rispetto a quello goduto in occasione di un precedente rapporto contrattuale (e cioè un aumento del canone in senso proprio); oppure di assicurare al locatore un corrispettivo crescente – sempre in termini di valore reale – durante l’arco di svolgimento dello stesso rapporto, sia prevedendo il pagamento di rate quantitativamente differenziate, sia prevedendo il frazionamento dell’intera durata del contratto in periodi temporali più brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione…”.

MPO & Partners

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