L’avviamento professionale quale legittimo oggetto di transazione economica
Nell’ultimo decennio le mutazioni dei mercati professionali hanno evidenziato due fenomeni fortemente collegati tra di loro: l’affinamento delle competenze manageriali da parte del professionista e l’esigenza di sfruttare al meglio le sinergie, le economie di scala e le specializzazioni professionali.
Una delle dirette conseguenze di tale trasformazione è l’esponenziale aumento sia delle aggregazioni tra professionisti sia delle operazioni di cessione/acquisizione di studi professionali.
Tale fenomeno ha fatto emergere il delicato e sempre controverso problema del riconoscimento e della valutazione del c.d. ”avviamento professionale”.
A questo punto occorre comprendere come la giurisprudenza, nel corso degli anni, ha individuato ed inteso l’”avviamento professionale”. Già nel 1967 la Corte di Cassazione (Sentenza Cassazione 21 luglio 1967, n. 1889), nel decidere sulla rilevanza fiscale in materia di “Ricchezza mobile”, imposta poi abolita e sostituita dall’IRPEF con la riforma tributaria del 1973 (entrata in vigore il 1º gennaio 1974), ha evidenziato che non costituisce oggetto d’imposta l’avviamento nell’ipotesi di cessione di studio professionale in quanto “nello studio professionale anche se munito dei beni materiali e strumentali più vari e complessi … quello che conta e prevale e ne caratterizza l’importanza e il valore è sempre l’opera intellettuale del titolare…; il nome la capacità del professionista e la fiducia ch’egli ispira costituiscono i fattori che sogliono indirizzare la clientela, la quale è in funzione, principale se non esclusiva, delle doti personali di ingegno, perizia e considerazione delle quali gode il professionista, e non dei beni materiali e strumentali che ne arredano lo studio”.
Netta, pertanto, la posizione della Suprema Corte la quale, in questa occasione, suddivide l’avviamento commerciale, esistente e fiscalmente rilevante, dall’avviamento professionale, inesistente anche in presenza di un’organizzazione dello studio e pertanto non rilevante ai fini fiscali.
Di diverso orientamento, invece, è il contenuto della sentenza della Suprema Corte del 1974 (Cfr Corte di Cassazione n. 370 del 1974) con la quale precisa che “il contratto di cessione-vendita di uno studio professionale nell’insieme degli elementi che lo costituiscono e pure in relazione alla clientela che ad esso faccia capo mediante il versamento di una somma, è valido e lecito in base al principio dell’autonomia contrattuale”.
Tale concetto è stato, poi, ripreso ed ulteriormente sviluppato sempre dalla Suprema Corte, nel 1979 (Cfr Corte di Cassazione, Sezione III civile, 12 novembre 1979, n. 5848) la quale afferma che “E’ giuridicamente configurabile la cessione di uno studio professionale insieme con il suo avviamento, in quanto questo non si identifica con la clientela (che ne costituisce oggettivamente solo un elemento), il cui trasferimento sarebbe impossibile sotto il profilo giuridico, ma consiste in una qualità di detto studio, il quale viene ceduto, quale complesso di elementi organizzati per l’esercizio dell’attività professionale, munito dell’attributo essenziale e necessario costituito dall’avviamento”.
Pertanto in questa sede la Suprema Corte non solo anticipa, anche di molti anni, la nota sentenza del 2010 nell’affermare la liceità del contratto di cessione della clientela professionale (“E’ giuridicamente configurabile la cessione di uno studio professionale…”) ma riconosce anche l’esistenza dell’avviamento anche per le attività professionali almeno per quanto concerne gli studi di più complessa organizzazione. Pertanto a seguito di tale decisione la Suprema Corte non solo rileva l’esistenza dell’avviamento professionale ma pone lo stesso quale rilevante ai fini fiscali in materia di “Ricchezza mobile”.
Anche i Giudici Tributari di primo grado (Ferrara) ritornano sulla definizione di “avviamento professionale” con la sentenza n. 1505 del luglio 1988 con la quale hanno nettamente precisato che “non ci si trova di fronte ad una cessione d’azienda o ad una vendita speculativa, tassabile per la plusvalenza eventualmente realizzata, ma piuttosto ad una pura e semplice liquidazione patrimoniale di una entità immateriale, quale la “clientela” o “avviamento professionale” realizzato dal notaio F….”.
E’ il caso di rilevare che a seguito di tale decisione i Giudici Tributari, nell’accogliere il ricorso del contribuente, stabiliscono, in base alla normativa fiscale allora vigente, la non tassabilità dei redditi percepiti per la cessione dello studio professionale, non facendoli ricadere nemmeno fra i redditi diversi ma, allo stesso tempo, riconoscono ancora una volta l’esistenza dell’avviamento professionale, concetto ancora fortemente ancorato a logiche esclusivamente aziendalistiche, quale “entità immateriale”.
Pietra miliare, in materia di riconoscimento dell’avviamento professionale, è la sentenza della Corte di Cassazione (Cfr Corte di Cassazione, sentenza n. 2860 del 9 febbraio 2010) la quale ha definitivamente stabilito che è lecitamente e validamente stipulato il contratto di cessione a titolo oneroso di uno studio professionale in cui vengono considerati non solo gli elementi materiali e gli arredi ma anche “la clientela”.
Pertanto la Suprema Corte ha ribadito il già consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale ancorché non sia possibile il trasferimento della clientela in senso tecnico-giuridico è giuridicamente configurabile il trasferimento di uno studio professionale insieme con il suo avviamento.
Il contratto
Nel caso di cessione di uno studio professionale, sebbene l’oggetto del trasferimento possa essere ritenuto “insolito”, occorre chiarire che si tratta, sempre e comunque, di un’operazione di cessione. Come tale, quindi, necessita di essere regolamentata da un contratto.
Fondamentale, in questa analisi, è tenere a mente che un contratto di cessione di clientela professionale ha il delicato compito di regolamentare il passaggio di uno Studio professionale da un professionista ad un altro.
A tal proposito è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 2860 del 9/2/2010 con la quale ha chiarito che il contratto di cessione della clientela professionale, seppur lecito e valido, non deve essere configurato come una cessione in senso tecnico ma un complessivo impegno del cedente volto a favorire la prosecuzione del rapporto professionale tra i vecchi clienti ed il soggetto subentrante attraverso l’assunzione di una serie di obbligazioni:
- negative – di NON fare
- positive – di FARE.
Il contratto, quindi, non regolamenta la vendita materiale di un’azienda, bensì un insieme di obbligazioni positive di fare e negative di non fare, le quali costituiscono obbligazioni di mezzo e non di risultato.
La presentazione della clientela
Partendo dal dettato della Cassazione una cessione di clientela professionale altro non è che un’operazione di presentazione di clientela dietro corrispettivo, pertanto appare evidente come uno dei principali obblighi del cedente è indubbiamente l’impego alla canalizzazione della clientela.
Questa differenziazione rispetto alla classica cessione d’azienda è giustificata dalla libertà decisionale del cliente che deve poter scegliere, in totale autonomia, a chi affidare la gestione dei propri affari (c.d. “intuitus personae” che caratterizza il rapporto professionista e cliente già oggetto di altri approfondimento presenti in questo sito).
Il passaggio di fiduciarietà si realizza anche attraverso l’affiancamento obbligatorio e le cui modalità sono contenute in un’apposita clausola inderogabile del contratto di cessione della clientela professionale. Statisticamente nelle operazioni di cessione della clientela professionale seguite da MpO & partners il periodo di affiancamento varia dai 12 ai 18 mesi.
Nel corso di questo periodo il professionista cedente si obbliga ad affiancare il professionista che gli subentra nello svolgimento dell’attività presentando la clientela ceduta al fine di consentire al cessionario di subentrare gradualmente nei rapporti professionali in essere.
Infine dovrà essere agevolata l’ottimale conoscenza dei dipendenti e collaboratori, al fine di entrare in sintonia con i medesimi ed individuare le rispettive responsabilità mansionali all’interno dello Studio.
Divieto di concorrenza
Un altro obbligo assunto dal cedente è il divieto di concorrenza. Su tale argomento la Cassazione (Sent. 2860/2010), trattando un caso relativo alla cessione di uno studio professionale, ha stabilito che la cessione indiretta della clientela che si verifica in questi casi è in tutto e per tutto assimilabile ad un trasferimento di attività.
Pertanto il cedente per tutelare la validità del contratto e la sua esecuzione in buona fede deve, oltre agli obblighi positivi di fare, assumersi dunque anche obblighi negativi come, ad esempio, il divieto di riprendere ad esercitare la stessa attività nello stesso luogo.
Le modalità di applicazione della clausola (ad esempio la durata, o verso chi essa si rivolge) possono variare da contratto a contratto; persiste, però, in caso di violazione del suddetto patto il pagamento di una penale commisurata all’entità del danno cagionato.
Il patto di esclusiva
Ultimo, ma non per importanza, è il patto di esclusiva. Questa clausola sancisce l’impegno del professionista cedente di presentare la clientela solo ed esclusivamente al professionista acquirente.
Il patto di esclusiva configura, dunque, una clausola fondamentale per il rispetto della correttezza professionale, in quanto, in sua mancanza, il professionista cedente, pur rispettando il patto di non concorrenza, potrebbe sviare la clientela verso professionisti che, per ipotesi, potrebbero offrire somme maggiori rispetto a quelle pattuite.
In caso di violazione del patto di esclusiva, la penale è analoga a quella prevista in tema di divieto di concorrenza.
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Il mancato passaggio generazionale
Quando in passato non si erano ancora diffuse le operazioni di cessione di studi professionali, il momento del “pensionamento” del professionista veniva quasi sempre vissuto come qualcosa di quasi traumatico. Se egli, infatti, non aveva avuto la possibilità di programmare un passaggio generazionale, sia all’interno della propria famiglia sia all’interno dello studio, , finiva per dover semplicemente chiudere lo studio.
Tutto ciò determina un evidente disservizio verso la clientela ed un indiscutibile disagio per i dipendenti. Infatti uno studio che “chiude” comporta il licenziamento dei suoi dipendenti e una spiacevole situazione per i clienti, che si trovano a dover affrontare la scelta di un professionista di riferimento, nella maggior parte dei casi senza averne le competenze adeguate per poterlo fare al meglio.
Cedere lo studio professionale, invece di chiuderlo, è la soluzione ideale per questo tipo di problematiche in quanto è parte cedente che “sceglie” al meglio il professionista subentrante anche in base alle specifiche peculiarità dello studio (clientela, dipendenti, location, etc).
La continuità di dipendenti e collaboratori
Particolare attenzione viene rivolta ai dipendenti (e collaboratori) dello studio professionale in quanto l’operazione di cessione dello studio professionale ha la naturale conseguenza della continuità dell’attività e pertanto mantiene inalterati i livelli occupazionali.
In merito al passaggio dei dipendenti, quale ente valutatore terzo, ha ricevuto incarico, da parte di un primario studio di commercialisti in Milano città, di partecipare attivamente al trasferimento dei dipendenti da parte cedente a parte acquirente.
L’operazione, molto delicata e complessa, ha visto scendere in campo le parti coinvolte nell’operazione (ed i rispettivi consulenti del lavoro) nonché le organizzazioni sindacali. Tutto ciò al fine di rendere chiare e trasparenti le varie fasi di trasferimento dei dipendenti e garantire, di conseguenza, il mantenimento dei livelli occupazionali.
Si discute molto, ormai da parecchi anni, delle operazioni di cessione\acquisizione di clientela professionale. Le ragioni dell’interesse verso questo fenomeno sono parecchie, ad esempio ci si chiede come mai esso riscuota tanto successo quando invece il tentativo, peraltro recente, di diffondere l’usanza di creare società tra professionisti non è ancora decollato; ma se ne discute anche perché questa particolare tipologia di cessioni garantisce vantaggi e convenienza per entrambe le parti coinvolte.
I vantaggi per chi cede
Quando in passato non si erano ancora diffuse le operazioni di cessione di studi professionali, il momento del “pensionamento” del professionista veniva quasi sempre vissuto come qualcosa di quasi traumatico. Se egli, infatti, non aveva avuto la possibilità di programmare un passaggio generazionale, grazie a dei soci disposti a rilevare la sua parte o dei figli in grado di subentrare nel suo ruolo, finiva per dover semplicemente chiudere lo studio. Tutto ciò determinata un evidente disservizio verso la clientela ed i dipendenti.
Uno studio che “chiude”, infatti, comporta il licenziamento dei suoi dipendenti e una spiacevole situazione per i clienti, che si trovano a dover affrontare la scelta di un professionista di riferimento, nella maggior parte dei casi senza avere le competenze adeguate per poterlo fare al meglio.
Cedere lo studio professionale, invece di chiuderlo, è la soluzione ideale per questo tipo di problematiche in quanto è parte cedente che “sceglie” al meglio il professionista subentrante anche in base alle specifiche peculiarità dello studio (clientela, dipendenti, location, etc).
Per quanto riguarda i dipendenti l’operazione di cessione dello studio professionale ha la naturale conseguenza della continuità dell’attività e pertanto mantiene inalterati i livelli occupazionali. Infine rimane invariata, almeno nel medio-lungo periodo, la location.
Tutto ciò consente di dare, appunto, continuità elemento ritenuto fondamentale per la buona riuscita delle operazioni di cessione della clientela professionale, aiutando il subentro e l’integrazione del nuovo professionista.
I clienti, dal canto loro, continuano ad essere seguiti e supportati, vivono questa “organizzazione” del passaggio generazionale come un servizio nei loro confronti, più che come un “abbandono” da parte del loro professionista di fiducia. Inoltre il professionista cedente, attraverso la cessione, riesce a garantirsi una sorta di “TFR” di fine carriera ad oggi non previsto per un professionista che si colloca in pensione.
Infatti, da un punto di vista strettamente finanziario, le operazioni di cessione della clientela professionale prevedono la rateizzazione del 70% del valore di cessione dello studio (solitamente spalmata nell’arco di 3/5 anni) oltre, ovviamente, al 30% incassato alla firma del contratto. Pertanto si garantisce una buona forma di mantenimento costante al professionista per gli anni successivi al pensionamento.
Questi aspetti assumono particolare importanza in quanto attualmente a cedere il proprio studio non è solamente chi ormai ha raggiunto (o sta per raggiungere) l’età pensionabile ma anche professionisti di “mezza età”, con ottima professionalità, che non ha la possibilità di programmare il passaggio generazionale e pertanto decide di cedere l’attività per dedicarsi ad altri interessi.
Nella maggior parte di questi casi per chi acquista c’è il vantaggio aggiuntivo di poter contare sulla possibilità di una collaborazione continuativa con il vecchio dominus (ovviamente dopo il periodo di affiancamento) il quale desidera, magari, slegarsi dall’operatività quotidiana ma non se la sente ancora di ritirarsi del tutto. Alla luce di quanto detto finora è evidente che l’idea di cedere, rispetto alla prospettiva di chiudere lo studio perdendo tutto il valore che esso ancora possiede, risulti molto più saggia e allettante.
I vantaggi per chi acquista
Così come per i cedenti, anche per gli acquirenti i vantaggi possono essere analizzati in termini economici.
Infatti l’acquisizione di uno studio professionale risulta essere una buona forma di investimento in quanto, numeri alla mano, la redditività media degli studi professionali, prima delle imposte, tende a posizionarsi in un range dal 35% al 40%, ben più alta di quella di buona parte di altri possibili tipi di investimenti.
Detto questo, dal punto di vista di un professionista che si accinge ad acquistare uno studio professionale già avviato le parole chiave sono due: sinergie e specializzazione. Al giorno d’oggi, infatti, valore aggiunto per un qualunque tipo di attività professionale è la specializzazione, poter fornire al proprio cliente assistenza in qualsiasi ambito egli possa avere bisogno; è evidente come questo tipo di servizio possa essere fornito solo da studi con una adeguata struttura, con il giusto (e ben organizzato) numero di risorse.
Inoltre, ipotizzando che il professionista cedente decidesse di continuare a collaborare con lo studio, questo faciliterebbe sinergie tra professionisti di ogni età, provenienza, background culturale, garantendo il trasferimento di know-how intergenerazionale e, di conseguenza, elevati benefici in termini di servizi offerti al cliente.
Infine, per i professionisti più giovani l’acquisizione di clientela offre la possibilità di accedere alla libera professione con maggiore facilità permettendo una rapida crescita rispetto ai metodi “tradizionali”.