Valutare attività professionali con il multiplo del fatturato: letteratura, prassi e bad habits

Nell’ambito delle valutazioni d’azienda in ottica di cessione, la metodologia dei multipli di mercato o di transazioni comparabili ha conosciuto una crescente diffusione negli ultimi anni; questo principalmente per la sua semplicità. È infatti una metodologia che si presenta come una “scorciatoia” rispetto alle più complesse tecniche di attualizzazione dei flussi di cassa o di reddito attesi, ed è di più facile comprensione anche da parte dei non addetti ai lavori (è sicuramente più semplice, per un analista, spiegare ad un imprenditore un multiplo piuttosto che una valutazione col metodo finanziario).

 

Tale semplicità è tuttavia solo apparente, in quanto vi sono diverse criticità metodologiche. La prima criticità che ci si trova ad affrontare è la scelta stessa del multiplo da utilizzare. Infatti, non esiste un solo multiplo, esistono molti multipli, e ciascuno di essi può fornire un’indicazione diversa circa il valore del target che si sta analizzando.

Esiste infatti un intero filone di ricerca, nella letteratura scientifica internazionale, che si occupa di verificare se e quali multipli siano più precisi di altri nello stimare il valore delle aziende. L’approccio, in questo senso, consiste nel valutare la medesima azienda con diversi multipli e confrontare la stima ottenuta da ciascun multiplo con il prezzo effettivo dell’azienda in Borsa.

Senza dilungarsi nell’analisi della letteratura, ma volendo comunque fornire un quadro di insieme, si riportano le conclusioni di tre analisi, tra le più citate:

· Herrmann & Richter, Pricing with performance-controlled multiples (2003): Confrontano le performance di multipli sul mercato europeo, escluse le società finanziarie. Gli autori dimostrano che i multipli basati sugli utili forniscono le performance migliori, quelli basati sulle vendite le peggiori.

· Liu, Nissim & Thomas, Equity valuation using multiples (2002a): Gli autori esaminano le performance relative di un ampio campione di multipli per determinare quale spieghi meglio i prezzi di borsa espressi dal mercato statunitense. I multipli basati sugli utili prospettici sono i migliori. I multipli del fatturato presentano le performance peggiori, quelli associati agli utili (storici) sono migliori di quelli associati al patrimonio netto (P/BV), i multipli associati ai flussi di cassa sono caratterizzati da errori elevati. Le performance relative dei multipli tendono a ripetersi negli anni e tra settori (non vi sono multipli “specifici” preferibili in determinati settori).

· Liu, Nissim & Thomas, International equity valuation using multiples (2002b): Gli autori ripropongono il precedente studio riducendo il numero di multipli analizzati ma considerando questa volta anche i valori prospettici per ciascuno di essi. L’analisi è inoltre estesa a 10 mercati. I risultati indicano che i multipli basati sugli utili sono quelli che spiegano meglio i prezzi di borsa, quelli basati sui ricavi sono i peggiori, quelli basati su dividendi e flussi di cassa presentano performance intermedie.

 

Detto questo, chi abbia assistito ad una cessione/acquisizione di uno studio professionale sicuramente avrà sentito parlare di multiplo del fatturato, quindi di una farmacia ceduta “a 1,5 volte il fatturato”, o di uno studio dentistico ceduto “a 1 volta il fatturato”. Questo perché nel settore degli studi professionali (commercialisti, consulenti del lavoro, avvocati, dentisti e farmacisti) il multiplo storicamente e maggiormente applicato nella prassi italiana è il Prezzo/Fatturato, chiamato anche P/S (Price/Sales).

Questa prassi è riconosciuta anche dalla IFRS Foundation con riferimento agli studi professionali in genere, e dalla Federazione Internazionale dei Commercialisti (IFAC) in particolare per gli studi di commercialisti. La letteratura scientifica, come sopra riassunto, è tuttavia in totale contrapposizione: al P/S sono attribuite scarse performance e in alcuni casi è risultato essere addirittura il peggior multiplo in termini di accuratezza.

Perché, dunque, la prassi sembrerebbe ostinarsi nell’utilizzare un multiplo “scarso”?

 

Innanzitutto, le analisi sono state effettuate su diversi settori e in diversi mercati, con riferimento a grandi aziende quotate. Non vi sono studi professionali nei campioni analizzati e la principale differenza tra questi e le aziende è l’importanza della clientela, dell’elemento personale soggettivo, di natura immateriale, derivante dal rapporto fiduciario tra professionista e cliente, che rappresenta il core asset della cessione di uno studio professionale. Quindi è ragionevole che il multiplo consideri proprio tale core asset, misurato dal fatturato, come driver di valore.

Inoltre, le cessioni di studi professionali possono avvenire solo a favore di colleghi (anche se non esclusivamente), quindi a soggetti che già hanno una profonda conoscenza del settore e del business. Ciò fa si che non vi sia l’asimmetria informativa presente invece nel caso dell’M&A aziendale, in cui un investitore può acquisire anche target in settori a lui non completamente noti. A ciò si aggiunga che gli studi sono solitamente entità di piccole dimensioni, facilmente riorganizzabili dall’acquirente, e quindi, per quest’ultimo, può essere più rilevante la redditività media del settore che quella specifica del target al momento in cui avviene l’acquisizione. Infine, e specie per determinate professioni, le attività svolte dallo studio possono essere ripetitive e standardizzabili (si pensi ad esempio all’attività di elaborazione cedolini paga o raccolta ed elaborazione dei dati contabili). Il tutto determina un’elevata correlazione tra fatturato e marginalità (attesa).

In sintesi, l’assente o scarsa asimmetria informativa, la possibilità di riorganizzare facilmente il target e la standardizzabilità di alcuni dei servizi offerti, fanno sì che il fatturato abbia un contenuto informativo estremamente più elevato che nell’ambito aziendale e possono giustificare l’utilizzo del multiplo P/S nella valutazione di studi professionali.

 

Tali argomentazioni sono anche state verificate attraverso un’analisi empirica dal titolo “Exploring Market Multiples Accuracy for Professional Practices: Sales is the Value Anchor but Profitability and Location Matter Too”, pubblicata e disponibile dal 2021 sul Journal of Management & Governance. L’analisi, in sostanza, replica quelle già effettuate in letteratura per le grandi aziende, focalizzandosi sul solo settore degli studi di Commercialisti, Ragionieri e Consulenti del Lavoro. In particolare, sono state confrontate le performance del multiplo del fatturato e del multiplo dell’EBITDA (non sono stati analizzati i multipli degli utili in quanto non sufficientemente dissimili dall’EBITDA: ammortamenti e interessi passivi non sono rilevanti nel settore).

Dall’analisi è risultato che nella valutazione degli studi di Commercialisti e Consulenti del Lavoro, in Italia, il multiplo più accurato, quindi meno disperso, è quello del fatturato (P/S). Di seguito è riportata una tabella di sintesi dell’analisi, laddove è possibile desumere che il multiplo del fatturato ha ottenuto le migliori performance, anche utilizzando diverse logiche di definizione del campione (intero data set, solo i 5 studi più simile per dimensioni, solo le transazioni avvenute nel medesimo anno).

 

 

 

 

Detto questo, nella prassi è però diffusa anche la (cattiva) abitudine di applicare multipli del fatturato fissi, la c.d. “regola del pollice” (ad es. per gli studi di Commercialisti un multiplo di 1,5 volte). Ciò comporta il rischio di attribuire valori elevati ad attività con elevata crescita dei ricavi ma che riportano al contempo bassa redditività o addirittura perdite. Trascurare le differenze in termini di struttura dei costi e margini di profitto può pertanto portare a valutazioni fuorvianti, nonché al cosiddetto mercato dei limoni (o bidoni) di Akerlof: se a tutti gli studi si attribuisce lo stesso prezzo, nel nostro caso 1,5 volte il fatturato, sul mercato vi saranno solo studi che hanno effettivamente un valore pari o inferiore all’1,5, mentre quelli che meriterebbero un moltiplicatore superiore non saranno disposti ad essere ceduti a quel prezzo. Gli acquirenti troveranno quindi sul mercato solo studi sopravvalutati, con la conseguenza finale di scomparsa del mercato.

Il multiplo deve quindi essere oggettivamente determinato, anche attraverso analisi di regressione ogni volta che ciò sia possibile. Come indicato anche dai Principi Italiani di Valutazione (PIV), infatti, ponendo il multiplo come funzione di una o più variabili (sia contabili che extra contabili), la regressione permette di collegare il suo livello con la dinamica di più driver di valore contemporaneamente, restituendo i parametri necessari a costruire il multiplo appropriato per la specifica azienda da valutare (sintesi commento al PIV III.1.38).