Novità dal T.A.R. sulle attività professionali esercitate da società di capitali

Il tema dell’esercizio di attività c.d. riservate da parte di società di capitali (non S.T.P.) è sicuramente uno dei più complessi e più controversi nel panorama del mondo professionale italiano.

Va premesso che tale fenomeno può essere inquadrato sotto molteplici punti di vista giuridici: penale, civile, deontologico-previdenziale etc.

E, spesso, non si possono non rilevare alcune contraddizioni o lacune (perlomeno apparenti) della normativa di volta in volta applicabile.

In un precedente contributo ho parlato dei rischi, anche di carattere penale, relativi allo svolgimento delle c.d. attività riservate da parte di soggetti non iscritti agli Albi, con particolare riferimento alla prestazione delle stesse da parte di una società di capitali (“Operazioni Straordinarie Con Società Di Servizi: Attenzione Agli Studi Esercitati Solo Mediante C.E.D.” ) quando la stessa, che svolge l’attività di CED/società di servizi, non sia affiancata da un professionista (individuale/Studio Associato/STP).

In detto articolo concludevo che la totale assenza di una figura professionale concreta seriamente il rischio di risvolti penali e, più precisamente, di una condanna per esercizio abusivo di professione.

In un altro, più recente contributo (“Consulenza Professionale Prestata Da Società Di Capitali“), ho analizzato una pronuncia della Corte di Cassazione (Cass. Civ. ord. n. 39028 del 09/12/2021), secondo la quale “prestazioni di contenuto professionale o attività intellettuali possono essere svolte anche da una società di capitali” (va detto, comunque, che nel caso di specie si dibatteva sul diritto o meno al pagamento di una consulenza in ordine alle cause della rottura di alcune bottiglie di spumante, quindi non in una materia c.d. riservata).

Di recente, sul tema, è intervenuto anche il giudice amministrativo.

Il T.A.R. Piemonte, infatti, con la sentenza n. 702 del 29/07/2022, si è occupato del caso di un appalto pubblico avente ad oggetto il “servizio di amministrazione del personale, rilevazione delle presenze e gestione timesheet” aggiudicato ad una società di capitali – non S.t.p., che pur si avvaleva, per lo svolgimento delle attività c.d. riservate, di professionisti abilitati.

La seconda classificata aveva infatti impugnato l’aggiudicazione del suddetto appalto, da parte di una “mera” società commerciale, facendo presente che – sebbene il bando di gara non menzionasse, tra i requisiti di partecipazione, la qualità di professionista l’art. 1 L. 12/1979 stabilisce che “tutti gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti, quando non sono curati dal datore di lavoro, direttamente od a mezzo di propri dipendenti, non possono essere assunti se non da coloro che siano iscritti nell’albo dei consulenti del lavoro”.

Il giudice torinese, in prima battuta, ha rilevato che “la riserva legale prevista in favore dei consulenti del lavoro e degli altri professionisti iscritti ad albi di cui all’art. 1 L. n. 12 del 1979 abbia etero-integrato la disciplina della gara” dell’appalto.

Ciò premesso, il T.A.R. si è posto il problema se, come sostenuto dall’aggiudicataria, una “merasocietà commerciale possa comunque esercitare attività di consulenza del lavoro per conto terzi, qualora si avvalga di uno o più professionisti abilitati.

Per risolvere la questione si è quindi soffermato sulla differenza tra una società di capitali “normale” ed una S.t.p. ed ha rilevato che solo la seconda sarebbe tenuta, nell’espletamento della prestazione, a quei connotati di diligenza qualificata ed a quegli obblighi deontologici propri del libero professionista.

Viceversa, il cliente della “mera” società commerciale non potrebbe direttamente opporre al professionista (del quale la società si avvale) le eccezioni proprie del regime libero-professionale, invocando se del caso i rimedi insiti nel sistema ordinistico, ma dovrà agire nei confronti della società incaricata, unico soggetto contrattualmente vincolato, la quale non sarebbe tenuta (in quanto non-professionista) alla diligenza qualificata e/o agli obblighi deontologici.

Sulla base dei suddetti rilievi, pertanto, il T.A.R. Piemonte ha ritenuto che le mere società commerciali che pur si avvalgono di professionisti abilitati non possono essere equiparate, in via analogica, alle società tra professionisti ed ha quindi concluso che “se la procedura di appalto riguarda l’erogazione di attività riservate dalla legge, l’aggiudicazione deve essere fatta nei confronti di una Stp e non di una società commerciale anche se si avvale di professionisti abilitati.

La summenzionata pronuncia del giudice torinese, peraltro, ribadisce una precedente sentenza del Consiglio di Stato (la n. 105 del 16/01/2015).

L’impossibilità di una società commerciale (che pur si avvalga di professionisti abilitati) di aggiudicarsi appalti relativi all’erogazione di attività c.d. riservate sembra ormai pacifica nel panorama del diritto amministrativo.

A leggere le motivazioni del T.A.R. e del Consiglio di Stato, tuttavia, a sommesso parere di chi scrive, non ci si può non domandare se, nell’ambito dei rapporti tra privati, non si possa considerare lecito il conferimento di un incarico, avente ad oggetto attività sia riservate, sia non riservate, ad una “merasocietà commerciale (per la prestazione delle attività non coperte da riserva di legge) e, contestualmente, al professionista di riferimento della stessa per le attività c.d. riservate (che sarebbe, quindi, direttamente responsabile nei confronti del cliente).