Trasferimento dello Studio e subentro nei rapporti di lavoro

Anche nelle operazioni di M&A di attività professionali viene in rilievo la tematica del subentro, da parte del cessionario, nei rapporti con i dipendenti del cedente. 

La situazione meno problematica è quella che si verifica quando l’operazione si perfeziona anche tramite la cessione/acquisizione delle quote di uno studio associato, di una s.t.p. o di una c.d. società di servizi utilizzata dal professionista a supporto della sua attività e questi veicoli societari/associativi siano titolari dei rapporti di lavoro. In tal caso, il datore di lavoro non cambia.

Il dipendente, da un punto di vista strettamente formale e giuridico, continuerà ad avere come controparte la società o lo studio associato. Il mutamento riguarderà, infatti, solo l’aspetto, per così dire, sostanziale del rapporto, cioè la persona fisica con la quale il dipendente dovrà iniziare a relazionarsi all’esito dell’operazione di M&A e che sarà, verosimilmente, il professionista subentrante o una figura di fiducia dello stesso.

A tal fine è certamente opportuno che nel contratto tra cedente e cessionario venga previsto l’obbligo, da parte del primo, di agevolare la conoscenza del personale dello studio, facendo sì che il cessionario possa divenire l’effettiva figura di riferimento per i dipendenti/collaboratori al servizio dell’attività ceduta.

In tutti gli altri casi vanno seguite le regole proprie del trasferimento d’azienda. Qualora il professionista si avvalga anche di una società di servizi per l’esercizio della sua attività (ad esempio il classico CED), spesso uno degli step per perfezionare l’operazione è costituito dalla stipula di un atto di cessione (o di affitto con diritto di riscatto) dell’azienda o del ramo d’azienda di detta società, la quale generalmente sarà anche la datrice di lavoro dei dipendenti dello studio.  

La disciplina del trasferimento d’azienda si applica anche nel caso in cui la parte cedente sia un professionista-persona fisica, in forza dell’espresso rinvio all’art. 2112 c.c. da parte dell’art. 2238 c.c..

Ciò premesso, si evidenzia che la sorte dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda è disciplinata in primo luogo proprio dall’art. 2112 c.c., il cui primo comma stabilisce che

in caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.

Come esplicitamente sancito dal quinto comma, nella locuzione “trasferimento d’azienda” è inclusa anche l’ipotesi di affitto della stessa o del ramo della stessa nell’ambito del quale il lavoratore presti la propria opera.

Dalla norma in esame discende innanzitutto l’illegittimità del licenziamento, da parte del cessionario, motivato sulla base di circostanze riferibili all’intervenuto trasferimento dell’azienda. 

Si noti, comunque, che la disposizione parla di “continuazione” del rapporto di lavoro. Ne consegue che l’art. 2112 c.c. “è applicabile unicamente ai rapporti di lavoro ancora in corso al momento della cessione dell’azienda” e, per converso,

non può trovare applicazione relativamente ai rapporti di lavoro cessati ed esauriti anteriormente all’attuato trasferimento 

(così Trib. Cassino, sent. 27.06.2008).

Nel concetto di “continuazione” del rapporto rientrano anche eventuali agevolazioni fiscali o altro tipo di benefici, chiesti dal cedente e dei quali, per il periodo successivo al trasferimento, beneficerà il cessionario (si veda al riguardo Risoluzione Agenzia delle Entrate 248/2002).

In merito alle condizioni economiche e normativo-contrattuali che il cessionario è tenuto ad applicare, la normativa (art. 2112, co. 4, c.c.) stabilisce, in via generale, la regola della continuità, salvo due ipotesi: i) la perdita di efficacia del contratto collettivo alla scadenza e ii) la facoltà in capo al cessionario di “virare” su altri contratti collettivi applicabili all’impresa.

Va però evidenziato che il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d’azienda, può rassegnare le proprie dimissioni con diritto al percepimento dell’indennità sostitutiva del preavviso.

Con riferimento ai crediti maturati dal lavoratore nei confronti del cedente, il secondo comma dell’art. 2112 c.c. stabilisce che, per gli stessi, è obbligato in solido anche il cessionario. Ovviamente il cessionario, se chiamato a pagare debiti pregressi del cedente, avrà comunque la facoltà di rivalersi su quest’ultimo. Riguardo questa tematica si impongono alcune precisazioni. 

Nell’ottica di continuità del rapporto, il lavoratore mantiene il diritto al godimento delle ferie complessivamente maturate e dei permessi non usufruiti. 

Per i contributi previdenziali non vale tout court la regola della solidarietà: sono crediti, infatti, non del lavoratore ma di un soggetto terzo, cioè l’ente previdenziale. Si noti, però, che, ai sensi dell’art. 2560 c.c., l’acquirente di un’azienda risponde dei debiti pregressi della stessa, se risultanti dai libri contabili obbligatori.

Per quel che attiene il TFR va innanzitutto evidenziato che il lavoratore non ha diritto al percepimento dello stesso al momento del trasferimento dell’azienda, perché, appunto, si verifica una “continuazione” del rapporto e non una “cessazione”: il diritto al percepimento (salve ovviamente eventuali richieste di anticipo del TFR stesso) sorgerà, infatti, solo con dimissioni/licenziamento/pensionamento del lavoratore.

Ciò premesso, la Cassazione (ord. n. 164 del 2016), in relazione alla norma in esame, ha quindi chiarito che

il datore di lavoro cessionario è obbligato nei confronti del lavoratore, il cui rapporto sia con lui proseguito quanto alla quota maturata nel periodo anteriore alla cessione (o all’affitto) in ragione del vincolo di solidarietà, e resta l’unico obbligato quanto alla quota maturata nel periodo successivo alla cessione, mentre il datore di lavoro cedente rimane obbligato nei confronti del lavoratore suo dipendente per la quota di trattamento di fine rapporto maturata durante il periodo di lavoro svolto fino al trasferimento aziendale.

La regola della solidarietà può essere comunque parzialmente derogata, con il consenso del lavoratore, che, sempre ai sensi del secondo comma dell’art. 2112 c.c. e con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile (cioè davanti alla commissione di conciliazione presso la Direzione provinciale del lavoro), può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.

Con il ricorso a questo istituto, si potrà prevedere che una parte del corrispettivo di cessione dello studio venga saldato tramite accollo, da parte del cessionario, dell’intero TFR del lavoratore.

I commenti sono chiusi.