EBITDA e PFN: le chiavi del successo nelle operazioni di M&A

Il CNDCEC ha elaborato, all’interno del documento di ricerca “EBITDA e PFN a fini valutativi e negoziali” pubblicato lo scorso marzo, un’interessante trattazione incentrata sulle nozioni di EBITDA e di Posizione Finanziaria Netta (PFN), due indicatori di performance ampiamente diffusi nella prassi delle operazioni di cessioni e acquisizioni (M&A). Le considerazioni evidenziate nel documento forniscono ai professionisti delle linee guida utili a fare chiarezza su alcune componenti di calcolo di questi parametri nell’ambito di queste operazioni.

Obiettivo di questo articolo è quello di fornire un estratto degli aspetti più significativi e di rilievo emersi nell’approfondimento. 

 

EBITDA

Il margine EBITDA, Earnings Before Interests, Taxes, Depreciation and Amortization, rappresenta l’utile più imposte, interessi e ammortamenti (laddove Depreciation si riferisce ai beni materiali, Amortization a quelli immateriali) e viene utilizzato come i) misuratore di performance economica e ii) elemento alla base della valutazione di un’impresa.

Iniziamo trattando il suo utilizzo come indicatore di performance.
In tale ambito, l’EBITDA viene calcolato escludendo alcune componenti di costo non monetarie, come ad esempio gli ammortamenti relativi ad asset materiali e immateriali.
Il fine ultimo del calcolo è quello di fornire un’approssimazione circa la capacità di generare liquidità attraverso le attività operative durante un determinato periodo, riflettendo così l’andamento economico complessivo.

Ne consegue che confluiscono nell’EBITDA tutte quelle poste caratterizzate da una correlata presunta manifestazione finanziaria. Tuttavia, ci sono alcune eccezioni, che il CNDCEC riporta a titolo esemplificativo:

 

  • Altri ricavi: questa voce comprende sia entrate che influenzano direttamente la situazione finanziaria (es. recupero delle spese di trasporto), sia entrate che non hanno un impatto immediato sullo stato finanziario nell’anno di registrazione (come la parte di un risconto passivo ricevuto per ottenere contributi pubblici), e infine entrate che hanno un impatto finanziario parziale (come i profitti generati dalla vendita di beni strumentali).
    Nella pratica della presentazione dei dati finanziari delle aziende, non vengono apportate rettifiche ai fini del calcolo dell’EBITDA relativamente a queste voci.
  • Svalutazioni dei crediti compresi nell’attivo circolante e delle disponibilità liquide: si tratta degli accantonamenti riservati per ridurre il valore dei crediti commerciali che potrebbero non essere recuperabili.
    Queste svalutazioni non comportano effettivi pagamenti finanziari e potrebbero essere escluse dai costi nell’EBITDA.
    Tuttavia, nella pratica, questa questione è gestita in modo diverso e talvolta, per ragioni di prudenza, le svalutazioni dei crediti vengono incluse nella misurazione dell’EBITDA.
  • Accantonamenti per rischi e altri accantonamenti: costituiscono riserve create per affrontare eventuali perdite o spese future, senza che ci sia un effettivo dispendio finanziario nel periodo in cui vengono contabilizzati.
    Ai fini della determinazione dell’EBITDA, il trattamento di queste poste è lo stesso di quanto discusso nel punto precedente.

 

L’EBITDA può essere utilizzato anche con una funzione negoziale nell’ambito di un’operazione di M&A.
In questo caso l’accezione alla base del calcolo risponde a logiche ed obiettivi piuttosto diversi da quelli sin qui considerati. In questo caso, infatti, viene data enfasi alla capacità dell’EBITDA di esprimere la normale generazione di cassa. Ciò implica: a) un diverso trattamento di alcune voci che confluiscono nel calcolo di base dell’EBITDA e b) una rivisitazione del calcolo mediante l’inserimento di rettifiche e correttivi volti a normalizzare l’EBITDA da componenti di costo o ricavo ritenute anomale, inusuali e/o straordinarie e quindi non ricorrenti, al fine di determinare un EBITDA “normalizzato” (
EBITDA Adjusted). 

 

Le voci sopra riportate per il calcolo dell’EBITDA subiscono, ai fini negoziali, le seguenti modifiche:

  • Altri ricavi: le quote periodiche di risconto passivo a fronte dell’ottenimento di contributi pubblici vengono rettificate, dal momento che, di norma, la contabilizzazione del contributo avviene, nella maggior parte dei casi, contestualmente al relativo incasso, il quale in linea teoria è già confluito nella PFN, per cui si andrebbe incontro ad un probabile double counting sotto l’aspetto valutativo.
  • Svalutazioni dei crediti compresi nell’attivo circolante e delle disponibilità liquide: posta tipicamente non monetaria e non sempre ricorrente, per cui, al fine di identificare il livello normale di generazione di cassa, si rende necessaria una normalizzazione in sede di Due Diligence finanziaria. Infatti, partendo dall’analisi delle perdite su crediti e delle svalutazioni di un periodo rappresentativo, si procede alla stima dei mancati incassi dovuti a perdite sui crediti. Questo importo, in proporzione al volume d’affari nel periodo in esame, rappresenta una percentuale ragionevole di ricavi non incassati che si traduce in una componente monetaria (i mancati incassi), coerente con l’obiettivo principale dell’EBITDA negoziato.
  • Accantonamenti per rischi e altri accantonamenti: in generale, vale il principio secondo cui se un accantonamento è ricorrente e mira a stimare un futuro dispendio di cassa legato al rischio, l’EBITDA negoziato potrebbe non necessitare rettifiche particolari.
    Quando l’accantonamento riguarda una transazione o un impegno specifico e non ripetibile, è preferibile escluderlo dall’EBITDA, considerando la migliore stima di questo dispendio finanziario come un costo aggiuntivo da computare nella PFN.

 

Per quanto riguarda le rettifiche tipicamente apportate in questa sede, il CNDCEC segnala i seguenti aggiustamenti:

  • Costi di leasing finanziario: rientrano per definizione all’interno del calcolo della PFN quale componente di indebitamento e un’eventuale inclusione anche nell’EBITDA ne comporterebbe un double counting.
  • Transazioni all’interno del gruppo o con parti correlate: potrebbero non essere stabilite attraverso la negoziazione diretta sul mercato, il che potrebbe influenzare i prezzi in modo non rappresentativo.
    Di conseguenza, queste transazioni potrebbero distorcere la capacità della società target di generare flussi di cassa “normali”. Pertanto, è necessario adeguarne o neutralizzarne adeguatamente l’impatto.
  • Ricavi e costi non ricorrenti: per definizione, vanno rettificati in quanto derivanti da specifiche operazioni non ripetibili (es. costi o proventi derivanti da svalutazione/rivalutazioni/riprese di valore, indennizzi assicurativi o contrattuali ricevuti o subiti, costi sostenuti per operazioni straordinarie, oneri legati a contenziosi legali ecc.).

 

Nella prassi M&A, una casistica meritevole di menzione è rappresentata dal Trattamento di Fine Rapporto (TFR), una posta il cui trattamento, ai fini della determinazione dell’EBITDA, può generare dubbi interpretativi.

A riguardo, da gennaio 2007 occorre distinguere tra aziende con più o meno di 50 dipendenti. Nel primo caso, le aziende sono tenute al versamento del TFR su base mensile verso l’INPS o altre forme di fondo pensionistico, il che comporta un costo aziendale che viene registrato nel conto economico ma nessun debito nei confronti dei dipendenti, per cui è corretto includerlo nell’EBITDA.
Le sole considerazioni da fare riguardano il TFR già esistente prima del 2007, che sempre più spesso viene considerato come una voce finanziaria e la sua rivalutazione annuale che andrebbe sterilizzata dall’EBITDA (aumentandolo). 

Per le aziende con meno di 50 dipendenti che non versano il TFR mensilmente, invece, potrebbe verificarsi il rischio di double counting. Ciò accade in quanto l’accantonamento del TFR viene incluso sia nell’EBITDA e contemporaneamente si integra la PFN per considerare il TFR accumulato al momento della valutazione. In questo caso, si suggerisce di superare il doppio conteggio scegliendo di sterilizzare, alternativamente, l’EBITDA o la PFN.

 

PFN

Nelle valutazioni d’azienda in cui viene adottato l’approccio cd “asset side”, viene dapprima stimato il capitale operativo (Enterprise Value), a cui, al fine di pervenire al valore del capitale proprio dell’azienda (Equity Value), vengono apportati una serie di aggiustamenti in modo tale da tenere conto i) del livello di indebitamento finanziario, ii) del capitale circolante e iii) di eventuali surplus assets.

Gli aggiustamenti relativi all’indebitamento di un’azienda vengono recepiti attraverso il calcolo della PFN (net debt) che può modificare al rialzo o al ribasso il prezzo nelle operazioni di M&A a seconda che le liquidità a disposizione dell’azienda siano maggiori dei debiti da ripagare, o che queste non siano sufficienti ad estinguere le passività dovute. 

 

Sebbene sia corretto affermare che in linea generale la PFN consista nella differenza tra le passività finanziarie e le attività finanziarie di un’azienda, non esiste una definizione universalmente condivisa circa l’esatta indicazione delle poste di bilancio che compongono questo indicatore di performance. A riguardo, si rimanda al precedente contributo: https://mpopartners.com/articoli/posizione-finanziaria-netta-puzzle-da-risolvere-nelle-operazioni-ma/

Il principale assetto definitorio a cui la prassi internazionale del mondo M&A fa riferimento è quello sviluppato almeno a partire dal 2005 a cura del CESR, Committee of European Securities Regulators, ora ESMA, European Securities and Market Authority, e in Italia da Consob (rif.to Comunicazione Consob n.5/2021).

Prescindendo dalla mancanza di univocità in merito alle linee guida per la definizione della PFN, quest’ultima, al pari dell’EBITDA, è un indicatore che, se calato nella prassi negoziale delle operazioni di M&A, può subire alcune variazioni di calcolo. Il CNDCEC, in particolare, si concentra su:

 

  • Debiti correnti scaduti. È prassi consolidata catalogare come debiti finanziari quei debiti correnti la cui scadenza si è protratta oltre una data prefissata tra le parti, comunemente in 30, 60 o 90 giorni, andando ad apportare quindi una variazione in aumento della PFN.
    Questo perché, in questo modo, sarà possibile evitare eventuali comportamenti opportunistici di parte cedente, come ad esempio il differimento di pagamenti dovuti prima del
    closing al fine di massimizzare la posizione di cassa.
  • Pagamenti non ancora effettuati di dividendi già deliberati. Dal momento che per il futuro acquirente si tratterà di un’uscita di cassa solo differita nel tempo, è corretto includere l’importo di dividendi già deliberati ma non ancora pagati all’interno della PFN.
  • Debiti infragruppo infruttiferi. Qualora sia presente in bilancio, questa voce viene spesso inclusa nella posizione debitoria aziendale ed assimilata ad un debito di natura finanziaria, seppure non produttiva di interessi.
  • Crediti/debiti fiscali dell’esercizio in corso. Anche in questo caso, trattandosi di entrate/uscite solo differite nel tempo, queste voci impatteranno sulla posizione di cassa dopo il closing, per cui si rende necessario rettificare, rispettivamente in aumento e in diminuzione, il calcolo della PFN.
  • Bonus/incentivi al management e ai dipendenti già deliberati ma non ancora pagati. Così come nel caso di dividendi già deliberati ma non ancora effettuati, anche in presenza di premi/bonus già accordati ai componenti dell’organico aziendale ma che non risultano ancora saldati, saranno da apportare delle variazioni in aumento al calcolo della PFN.

In conclusione, l’analisi dell’EBITDA e della PFN emerge come un tassello cruciale nel contesto delle operazioni di M&A.
Il documento del CNDCEC fornisce un quadro esaustivo di queste metriche, rivelando le loro implicazioni sia come indicatori di performance sia come strumenti negoziali.
L’EBITDA, sebbene ampiamente utilizzato, richiede una valutazione attenta e contestuale, specialmente quando si considerano le rettifiche necessarie per una comprensione accurata della capacità generativa di cassa di un’azienda.
Allo stesso modo, la PFN, sebbene soggetta a varie interpretazioni, offre una visione chiara dell’indebitamento e della liquidità aziendale, fondamentale per valutare il reale valore di un’azienda.