Clausola “di salvaguardia” e altre clausole di “earn-out” nelle operazioni di m&a di Studi professionali

Come già più ampiamente esposto in numerosi precedenti contributi, la “cessione-acquisizione” di uno Studio professionale, con particolare riferimento al passaggio del c.d. “pacchetto clienti”, non è disciplinata compiutamente da alcuna norma e, solo in tempi relativamente recenti, è stata oggetto di inquadramento da parte della Corte di Cassazione.

Solo con la sentenza n. 2860 del 2010, infatti, gli Eremellini, hanno saggiamente chiarito la validità dell’operazione in questione, evidenziando che, da un punto di vista giuridico, essa si realizza “attraverso l’assunzione di obblighi positivi di fare (mediante un’attività promozionale di presentazione e di canalizzazione) e negativi di non fare (quale il divieto di riprendere ad esercitare la medesima attività nello stesso luogo) – la prosecuzione del rapporto professionale tra i vecchi clienti ed il soggetto subentrante.”

In particolare, in un precedente articolo (https://mpopartners.com/articoli/trasferimento-studio-professionale-affiancamento-clausola-salvaguardia/ ) ho analizzato la stretta connessione tra  l’attività di canalizzazione della clientela e la necessità che sia accompagnata, nel regolamento contrattuale da una clausola di verifica del fatturato ed eventuale adeguamento del corrispettivo di cessione in relazione all’eventuale variazione del fatturato prodotto dalla clientela canalizzata dal cedente.

Più nel dettaglio, in forza di una tale c.d. clausola di salvaguardia:

  • il corrispettivo di cessione verrebbe ricavato applicando un moltiplicatore al fatturato cedibile dello Studio (c.d. fatturato di riferimento)
  • al termine del periodo di affiancamento/canalizzazione della clientela, verrebbe effettuata una verifica relativa al fatturato effettivamente prodotto ed incassato dai clienti effettivamente passati/canalizzati e dalla nuova eventuale clientela acquisita grazie all’interessamento del cedente;
  • si procederebbe quindi alla riduzione o all’aumento del corrispettivo tenendo conto della differenza (in positivo o in negativo) dei due fatturati e del moltiplicatore applicato originariamente al fatturato di riferimento.

Una simile previsione contrattuale si inserisce nel solco delle varie tipologie di clausole, c.d. di earn-out, tipiche delle prassi anglosassoni, che – dalla dottrina – vengono suddivise in varie tipologie, il cui minimo comune denominatore consiste nella previsione che una parte del prezzo di una compravendita venga differita e condizionata al raggiungimento di determinate condizioni.

Possiamo quindi distinguere le seguenti tipologie di clausole “earn-out:

  1. economic earn-out, secondo le quali il pagamento di parte del prezzo è parametrato ai risultati economici ottenuti dal “target”;
  2.  performance earn-out, nelle quali la componente variabile è fatta dipendere dal raggiungimento di risultati specifici (per restare in tema di m&a di Studi professionali, ad es., al mantenimento di un determinato cliente particolarmente importante per lo Studio)
  3. reverse-earn-out che prevedono (in una visione opposta)  una riduzione del prezzo in ragione del mancato raggiungimento di risultati attesi da parte del “target”.

La clausola di salvaguardia applicata da MpO nella propria prassi e sopra sintetizzata è quindi una sintesi – a sommesso avviso di chi scrive, molto felice – di previsioni proprie di tutte e tre le tipologie di clausole earn-out sopra descritte. 

La formulazione di una clausola earn-out, in ogni caso, è un’operazione molto delicata e non può prescindere da un’attenta analisi e da un’approfondita conoscenza del caso di specie.

Ciò è parso evidente in un’interessante caso portato all’attenzione del Tribunale di Milano (sez. specializzata in materia di imprese) e deciso con sent. del 09 luglio 2018.

I giudici meneghini erano infatti stati investiti dalla richiesta di un venditore di partecipazioni di una società energetica, in forza di una clausola che prevedeva un incremento del prezzo da calcolarsi in proporzione del valore medio di irraggiamento annuale di un impianto di produzione di energia da fonte solare, di proprietà della società “target”, nei primi due anni successivi alla compravendita.

L’acquirente si era opposto, sostenendo che si sarebbe dovuto superare il dato letterale della clausola, con contenimento dell’aumento richiesto dal venditore, perché – in realtà – sotto una misura minima di irraggiamento non si riesce comunque a produrre energia e non vi sarebbe quindi  alcun maggior ricavo.

Al di là delle questioni tecniche, l’interessante questione è se, ai fini dell’operatività di una clausola di earn-out e per la maturazione del complemento di prezzo, sia necessario o meno che – in ogni caso – l’acquirente consegua effettivamente un maggior ricavo.

Il Tribunale, con la sentenza sopra citata, dopo aver premesso che “le clausole di “earn-out” sono volte a parametrare il corrispettivo per la cessione di partecipazioni sociali suddividendolo in una parte fissa ed una parte variabile” e che, quindi, ”il pagamento della parte variabile è differito rispetto al trasferimento della proprietà della partecipazione e viene parametrato alle performance della società target”, ha escluso che il dato letterale di una clausola di earn-out possa essere superato e, accogliendo la domanda del venditore, ha dunque concluso che “non sussiste un collegamento negoziale tra l’effettivo incremento della redditività della società target e la maturazione della parte variabile del prezzo, collegamento esistente solo se espressamente previsto dalla clausola stessa.

Tornando al mondo degli Studi professionali, pertanto, è opportuno che le clausole di earn-out, nelle operazioni di m&a, vengano codificate in modo molto preciso e attento da operatori giuridici non solo esperti del settore ma che abbiano anche una conoscenza puntuale dello “Studio target”.

 Questo perché – come ha lapidariamente ricordato il Tribunale di Milano – il dato letterale di una clausola di earn-out è praticamente insuperabile.