IVA e decesso del professionista

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Il trasferimento a titolo oneroso della clientela professionale – L’intervento dell’agenzia delle Entrate sui risvolti ai fini IVA

 

Premessa

Il professionista che vuole programmare il passaggio generazionale del proprio studio, attraverso la cessione a titolo oneroso dell’attività professionale, spesso si trova a dover affrontare alcune problematiche, tra le quali il trattamento fiscale dei corrispettivi percepiti a seguito della cessione della clientela professionale.

 

I corrispettivi percepiti a seguito della cessione della clientela (Irpef)

Ai fini delle imposte dirette l’articolo 54 del TUIR (comma 1-quater) prevede espressamente che “Concorrono a formare il reddito i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale”. Ribadendo, quindi, anche il principio “di cassa”.

Pertanto, la cessione del «pacchetto clienti» genera interamente reddito professionale da assoggettare a tassazione ordinaria ai sensi dell’articolo 54 del TUIR con l’opportunità di avvalersi del regime della tassazione separata qualora l’incasso avvenga in unica soluzione o in più rate ma nello stesso periodo di imposta.

 

I corrispettivi percepiti a seguito della cessione della clientela (Iva)

Ai fini IVA, in considerazione che il professionista cedente è obbligato ad emettere parcella per le rate incassate (assoggettandole ad IVA, CP e ritenuta d’acconto), il lavoratore autonomo, che intende cessare l’attività, deve conservare la partita IVA fino all’incasso dell’ultima rata.

Sull’argomento “IVA dei professionisti” è ritornata molto recentemente l’Amministrazione Finanziaria con la risoluzione n. 31 dell’11 marzo u.s.

Il quesito sottoposta all’Agenzia delle Entrate si riferisce ad un professionista, defunto, che in anni passati ha emesso fatture nei confronti della Pubblica Amministrazione, pertanto con IVA ad esigibilità differita, ai sensi dell’articolo 6 del DPR 633/72.

Tali fatture, non solo non sono ancora riscosse alla data del decesso, ma i tempi di incasso potrebbero essere più lunghi dei sei mesi previsti dall’articolo 35-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 per chiudere la partita IVA del de cuius.

Inoltre, il professionista ha effettuato e concluso prestazioni professionali non ancora fatturate alla data del decesso. L’istante si pone il problema di come versare l’imposta non ancora incassata, nell’eventualità che si debba comunque procedere entro sei mesi dalla morte a chiudere la partita IVA, nonché se considerare le prestazioni non ancora fatturate comunque concluse e, quindi, rilevanti ai fini IVA.

L’Agenzia delle Entrate ha ribadito il già consolidato concetto che “In linea generale, la cessazione dell’attività professionale, con conseguente estinzione della partita IVA, non può prescindere dalla conclusione di tutti gli adempimenti conseguenti alle operazioni attive e passive effettuate. Pertanto, il professionista che non svolge più l’attività professionale non può estinguere la partita IVA in presenza di corrispettivi per prestazioni rese in tale ambito ancora da fatturare nei confronti dei propri clienti.” E pertanto “La cessazione dell’attività per il professionista non coincide, pertanto, con il momento in cui egli si astiene dal porre in essere le prestazioni professionali, bensì con quello, successivo, in cui chiude i rapporti professionali, fatturando tutte le prestazioni svolte e dismettendo i beni strumentali. Fino al momento in cui il professionista, che non intenda anticipare la fatturazione rispetto al momento di incasso del corrispettivo, non realizza la riscossione dei crediti, la cui esazione sia ritenuta ragionevolmente possibile (perché, ad esempio, non è decorso il termine di prescrizione di cui all’art. 2956, comma 1, n. 2 del codice civile) l’attività professionale non può ritenersi cessata”.

Inoltre, a supporto della decisione l’Amministrazione Finanziaria richiama la sentenza della Corte di Cassazione n. 8059 del 2016 la quale enuncia il seguente principio di diritto: “il compenso di prestazione professionale è imponibile ai fini IVA, anche se percepito successivamente alla cessazione dell’attività, nel cui ambito la prestazione è stata effettuata, ed alla relativa formalizzazione”; e questo perché “[…] il fatto generatore del tributo IVA e, dunque, l’insorgenza della correlativa imponibilità vanno identificati […] con la materiale esecuzione della prestazione, giacché, in doverosa aderenza alla disciplina Europea, la previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 3, va intesa nel senso che, con il conseguimento del compenso, coincide, non l’evento generatore del tributo, bensì, per esigenze di semplificazione funzionali alla riscossione, solo la sua condizione di esigibilità ed estremo limite temporale per l’adempimento dell’obbligo di fatturazione.”. Ne consegue che per la Suprema Corte che per quanto concerne il professionista che intende cessare la propria attività “[…] non emergono, peraltro, ragioni logico-giuridiche ostative all’applicazione della soluzione indicata relativamente ai corrispettivi di prestazioni eseguite, nell’esercizio dell’attività economica di soggetto deceduto o di società estinta, incassati dagli eredi o dai soci”.

In buona sostanza in presenza di fatture da incassare o prestazioni da fatturare, gli eredi non possono chiudere la partita IVA del professionista defunto sino a quando non viene incassata l’ultima parcella.

In virtù di quanto sopra indicato in questo caso si sono verificate le condizioni per derogare a quanto stabilito dall’articolo 35-bis del d.P.R. n. 633 del 1972 (chiusura della partita IVA del contribuente deceduto da parte degli eredi entro sei mesi dalla data della sua morte) e resta salva per gli eredi la possibilità anticipare la fatturazione delle prestazioni rese dal de cuius e di chiudere la partita IVA.

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