a cura di MPO & Partners
Su Il Sole 24 Ore del 1 ottobre è stato pubblicato un interessante articolo di Luca Miele riguardante il trattamento, a livello fiscale, di pulsvalenze o minusvalenze derivanti dall’inserimento di clausole di adeguamento dei prezzi nei contratti di compravendita di aziende o partecipazioni.
È evidente come in caso di cessione di studi professionali la questione sia ancora più centrale: i contratti di trasferimento a titolo oneroso di clientela professionale contengono tutti una clausola di “salvaguardia”, di adeguamento del prezzo, per tutelare l’acquirente da una perdita di fatturato derivante dal cambio di dominus (ma anche, eventualmente, per riconoscere al cedente un aumento del valore dello studio, nel primo anno della nuova proprietà, che si può riflettere sul prezzo).
Come gestire, quindi, queste componenti positive o negative di reddito generate dalle clausole di adeguamento del prezzo?
Per i soggetti che non adottano gli IAS (Principi Contabili Internazionali), gli adeguamenti del prezzo vanno assoggettati allo stesso regime fiscali delle componenti di reddito che vanno ad integrare.
Facciamo degli esempi concreti.
Nell’ipotesi in cui al cedente venga riconosciuto un plusvalore rispetto quanto gli è stato pagato in origine, esso deve seguire il regime della PEX nel caso in cui la partecipazione sia stata ceduta in parziale esenzione (con la tassazione al 5%); se il prezzo della partecipazione, invece, è stato interamente tassato perché, ad esempio, non possedeva i requisiti per sfruttare il regime PEX, anche la plusvalenza da versare al cedente va considerata interamente tassabile.
Se, per contro, è il cedente a dover versare una somma (avendo ricevuto per la cessione della partecipazione un importo superiore al suo effettivo valore) la somma non è deducibile, sulla base dell’art. 101 del TUIR, in caso abbia fruito della PEX, ovvero integralmente deducibile, ai sensi del comma 4 dello stesso art. 101 del TUIR, se la partecipazione ceduta non aveva goduto della PEX.
In questo contesto è necessaria una precisazione: nel caso, ad esempio, in cui un cedente realizzi una minusvalenza, non tassata, incassando alla vendita della sua partecipazione una somma inferiore al valore della stessa e riceva, successivamente, per rettifica una somma tale da superare il valore della partecipazione e generare una plusvalenza, come andrà tassata questa plusvalenza?
La soluzione più corretta sarà tassare, secondo i regimi correnti, unicamente la differenza tra il prezzo originario (aumentato della rettifica del prezzo) e il valore fiscale della partecipazione, al fine di evitare doppie imposizioni.
Per contro, nel caso in cui chi cede inizialmente incassi più del valore fiscale della partecipazione fiscale che cede, realizzando una plusvalenza parzialmente tassata, e successivamente debba erogare una somma che se pagata in origine avrebbe generato una minusvalenza. Come bisogna trattare questa minusvalenza?
Il contribuente ha diritto a recuperare a suo favore l’imposta che aveva pagato inizialmente sulla plusvalenza, poi venuta meno.
I metodi per il recupero, principalmente, sono due:
- mediante presentazione di dichiarazione rettificativa di quella relativa al periodo d’imposta in cui era stata dichiarata la plusvalenza
- mediante presentazione di istanza di rimborso, nel caso in cui i tempi per presentare questa la dichiarazione rettificativa fossero decorsi dovrebbe.
Per quanto riguarda, invece, le cessioni d’azienda le rettifiche del prezzo concorrono alla formazione del reddito del cedente sulla base dell’art. 86 del TUIR per le plusvalenze e dell’art. 101 per le minusvalenze.
Dal punto di vista dell’acquirente, infine, un eventuale modifica del prezzo dovuta ad attuazione della clausola di salvaguardia non determina alcuna novazione del contratto originario e, tanto meno, ne determina l’estinzione. Queste rettifiche in aumento o in diminuzione del corrispettivo dovuto non devono, quindi, assumere rilevanza impositiva.
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