La cessione di partecipazioni non riqualificabile in cessione di azienda. L’orientamento della Corte di Cassazione

Abuso del diritto e cessione di partecipazioni

Molto spesso per svolgere l’attività di acquisizione, analisi ed elaborazione dati il professionista si avvale di una struttura costituita sotto forma societaria. In questo caso la cessione dello studio professionale può realizzarsi sia mediante un contratto di cessione di azienda o di ramo d’azienda (oggetto di ulteriori approfondimenti) sia attraverso la cessione di partecipazioni.

Un’operazione di cessione di quote di uno studio commercialista (consulente del lavoro, tributarista, etc) consiste nel trasferimento di proprietà di una partecipazione che si possiede all’interno di una società e può trovare applicazione per tutte le professioni, con le eventuali limitazioni previste dalle normative vigenti, per le quali è data la possibilità di svolgimento sotto forma societaria.

Per tale tipo di operazione le parti si interrogano sulla possibile riqualificazione da parte dell’Amministrazione Finanziaria del contratto di cessione quote in una cessione di azienda\ramo d’azienda. Tali dubbi hanno origine dal contenuto dell’atto in quanto esso comprende tutta una serie di clausole quali l’affiancamento, la non concorrenza, l’adeguamento del fatturato, solitamente non presenti negli atti di cessione di quote ma tipiche degli atti di cessione di studio di commercialista (o di altri professionisti).

A parere dello scrivente tali preoccupazioni appaiono ingiustificate se si considera il quadro normativo, giurisprudenziale e la prassi italiana.

Ad oggi l’articolo 37-bis del DPR 600/1973, in materia di accertamento delle imposte dirette, consente all’Amministrazione finanziaria, nell’ambito delle imposte dirette, di disconoscere i vantaggi tributari conseguiti mediante atti, fatti e negozi, anche collegati tra loro se privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e diretti ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti.
Dunque, in considerazione di quanto sopra esposto, si ritiene che in sede di cessione di uno studio di commercialista, qualora fosse organizzato sotto forma societaria, la conseguente cessione di partecipazioni possa configurarsi elusiva soltanto nei casi in cui realizzi, in assenza di valide ragioni economiche, un atto preparatorio o successivo rispetto ad una più complessa operazione di riorganizzazione aziendale (es. trasformazione, scissione, fusione, conferimento, etc.).

Molto di recente la Corte di Cassazione è tornata sul delicato e sempre controverso tema dell’abuso del diritto. Infatti con la sentenza n. 2054 del 27 gennaio 2017 la Suprema Corte ha affermato che “il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuto mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio di imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici”. Inoltre la Corte di Cassazione conferma che  “la prova sia del disegno elusivo sia delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale, incombe sull’Amministrazione finanziaria, mentre grava sul contribuente l’onere di allegare la esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate”. Pertanto “… il carattere abusivo di un’operazione va escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali”.

Tale sentenza si aggiunge alla già costante giurisprudenza e prevalente prassi (Cfr. Cass. Civ. Sez. III, Sent. 07/07/2010 n. 16030; Cass. Civ. 28/03/1981 n. 1786; Comm. Trib. Centr. Sez. VII, Decis. 03/08/1984 n. 7826; Risoluzione 28/03/1983 n. 251368 – Min. Finanze; Risoluzione 05/06/1989 n. 310356 – Min. Finanze; Studio n. 170/2011/T Consiglio Nazionale del Notariato e l’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 93/E del 17/10/2016)

Dunque, qualora la cessione dello studio di commercialista (o di altri professionisti) avvenga attraverso il negozio giuridico della cessione di partecipazioni, tale operazione non può configurarsi quale cessione di azienda.

Cfr: Risoluzione 28/03/1983 n. 251368 – Min. Finanze; Risoluzione 05/06/1989 n. 310356 – Min. Finanze; Studio n. 170/2011/T Consiglio Nazionale del Notariato

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