Nelle operazioni straordinarie che coinvolgono le attività professionali le parti intendono avere ben chiari gli aspetti organizzativi collegati all’operazione in essere e i relativi inquadramenti di prassi e normativa.
Per avere una panoramica di quelle che sono le attuali esigenze dei professionisti, senza pretesa di esaustività, si rinvia al contributo “Organizzazione E Passaggio Generazionale Negli Studi Professionali: Cosa Ci Chiedono I Professionisti”.
Nello specifico, la riorganizzazione di un’attività può essere più o meno strutturata a seconda delle esigenze delle parti e degli obiettivi da raggiungere e, tra le varie operazioni che possono essere considerate, la cessione delle quote risulta una strada percorribile nell’ipotesi di attività costituite in forma societaria.
Dal punto di vista fiscale, le plusvalenze realizzate dalla cessione a titolo oneroso delle partecipazioni
costituiscono redditi diversi di natura finanziaria se realizzate da persone fisiche, purché il reddito non sia conseguito nell’esercizio di attività d’impresa, arti o professioni o in qualità di lavoratore dipendente (art. 67, c. 1, lett. c) e c-bis) Tuir). La plusvalenza è costituita dalla differenza tra il corrispettivo percepito e il costo di acquisto della partecipazione, aumentato di ogni onere inerente la produzione (art. 68 Tuir).
Come chiarito in numerosi documenti di prassi, il presupposto impositivo della plusvalenza si origina con il momento di ‘perfezionamento del trasferimento’ della proprietà, distinto dal momento relativo ‘all’incasso del corrispettivo’.
In sostanza, il momento di realizzo della plusvalenza consente di determinare il regime di tassazione applicabile, mentre quello in cui il corrispettivo viene percepito determina, sulla base del principio di cassa, il periodo d’imposta in cui il reddito deve essere assoggettato a tassazione.
Ma cosa succede se i soci di una STP (o di un Centro Elaborazione Dati, costituito in forma di Srl) predispongono un accordo di cessione delle partecipazioni pattuendo che il corrispettivo sarà corrisposto in forma rateale fino a concorrenza dell’importo determinato in sede di cessione, o comunque nel limite massimo di 10 anni, anche se inferiore all’importo negoziato?
Potrebbero essere rilevate delle criticità ai fini delle imposte dirette e indirette, tra le quali, ad esempio, il rischio di riqualificare l’operazione quale abusiva ai sensi dell’articolo 10-bis L. 212/2000, oppure riqualificarla quale negozio misto con donazione?
Una fattispecie simile è stata analizzata dall’Agenzia delle Entrate nella Risposta all’interpello n. 156 del 2022.
Nella fattispecie esaminata dall’Agenzia, 3 soci di una società di consulenza (settore proprietà industriale) hanno avviato una trattativa per favorire l’ingresso nella compagine societaria di 4 acquirenti, già membri del consiglio di amministrazione e in passato dipendenti della società, nell’ottica di garantire alla società continuità aziendale e concrete prospettive di crescita attraverso un maggior coinvolgimento dei nuovi soci nella dinamica imprenditoriale.
Nella trattativa sono stabiliti i seguenti accordi:
– cessione parziale delle rispettive partecipazioni;
– pagamento rateale del corrispettivo pattuito, a partire dall’esercizio in corso alla data di esecuzione dell’accordo e per i successivi sino alla concorrenza del corrispettivo;
– pagamento del corrispettivo sulla base degli utili netti futuri deliberati in assemblea (con importo pro quota nel primo esercizio, in relazione alle mensilità successive a quelle della cessione);
– periodo di riferimento di 10 anni solari successivi alla data di esecuzione dell’accordo;
– se al termine dei 10 anni l’importo risulterà inferiore rispetto a quanto, stabilito la differenza costituirà il ‘corrispettivo aggiustato’;
– per i promissari acquirenti (anche amministratori) sono previsti degli obblighi per tutta la durata del periodo di esecuzione finalizzati a tutelare la redditività della società.
Sulla base dei citati accordi, e del fatto che l’istante ha anche rideterminato il valore della partecipazione detenuta alla data del 1° luglio 2011, si chiede se possano essere rilevati dei profili di abuso del diritto o se si possa riqualificare l’operazione come ‘negozio misto con donazione’ qualora il ‘corrispettivo aggiustato’ dovesse risultare inferiore a quello originariamente pattuito.
L’Agenzia ritiene che l’operazione non costituisca una fattispecie di abuso del diritto ai sensi dell’articolo 10-bis della Legge 27 luglio 2000, n. 212.
Affinché un’operazione possa essere considerata abusiva, infatti, l’Amministrazione finanziaria deve identificare e provare congiuntamente i tre presupposti costitutivi dell’abuso, ovvero la realizzazione di un vantaggio fiscale indebito (costituito da benefici in contrasto con le norme fiscali), l’assenza di sostanza economica dell’operazione (fatti, atti e contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali) e l’essenzialità del conseguimento di un vantaggio fiscale. Inoltre, pur in presenza di tutti gli elementi sopra citati, non sono considerate abusive le operazioni che sono giustificate da valide ragioni extra fiscali non marginali, anche di carattere organizzativo o gestionale per finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’attività (art. 10-bis Legge 27 luglio 2000, n. 212).
Poiché la ‘non marginalità’ delle ragioni extra fiscali sussiste solo quando le operazioni non sarebbero state poste in essere in assenza di tali ragioni, nel caso esaminato l’Agenzia rileva l’esistenza di tali valide ragioni perché l’operazione è finalizzata ad «aprire la compagine sociale a soci nuovi al fine di un graduale avvicendamento tra generazioni di professionisti in vista di un loro futuro ritiro, di monetizzare il valore della società da loro stessi creato negli anni passati, di garantire la continuità aziendale nonché concrete prospettive di conservazione e di crescita attraverso il coinvolgimento dei nuovi acquirenti».
Anche con riferimento alla plusvalenza derivante dalla cessione non si rilevano profili di abuso del diritto pertanto si potrà legittimamente utilizzare il costo rideterminato della partecipazione ceduta, dal momento che non sarà conseguito alcun indebito vantaggio (in effetti, il trattamento fiscale dei dividendi sopra descritto non comporterà alcuna differenza rispetto all’ipotesi in cui lo stesso venisse pagato ai soci acquirenti e poi venisse utilizzato da questi ultimi per estinguere il debito nei confronti dei soci venditori).
Con riferimento alle imposte indirette, l’Agenzia ritiene che manchino gli elementi tipici della donazione, ovvero l’elemento soggettivo (l’animus donandi, la consapevolezza di attribuire un vantaggio patrimoniale senza costrizione) e l’elemento oggettivo (l’incremento del patrimonio altrui e il depauperamento di chi ha disposto del diritto o assunto l’obbligazione).
Nella risposta si rileva, infatti, che l’eventuale vantaggio patrimoniale conseguito dai soci acquirenti con il ‘Corrispettivo Aggiustato’ è indipendente dalla volontà delle parti e, in particolare, dalla volontà dei soci venditori. In sostanza, i soci venditori hanno convenuto l’assunzione di un prefigurato rischio futuro ma senza alcun intento di liberalità poiché tale vantaggio è meramente eventuale ed è condizionato dall’andamento del mercato.