Vendesi studio commercialista: La cessione d’azienda – La guida MPO

Sempre in materia di CED un altro negozio giuridico utilizzato per la vendita dello studio professionale è la cessione d’azienda (o di ramo d’azienda).

Tale tipo di operazione può generare una plusvalenza, intesa quale differenza tra il prezzo di vendita pattuito ed il costo fiscalmente riconosciuto dell’azienda in capo al cedente, che ai fini fiscali deve essere assoggettata a tassazione in capo al cedente.

Occorre chiarire, in questa sede, che la plusvalenza da cessione d’azienda ha sempre natura “unitaria”. Pertanto non è assolutamente possibile scomporre la plusvalenza complessivamente realizzata in più sub-componenti.

Ai fini delle imposte dirette la tassazione in capo al cedente della plusvalenza conseguita a seguito della cessione d’azienda (o ramo d’azienda) può avvenire mediante le seguenti tre modalità:

  1. per l’intero ammontare nel periodo di imposta di competenza;
  2. per quote costanti nel periodo di imposta di competenza e nei quattro successivi;
  3. con il sistema della «tassazione separata».

Scopo del presente articolo è quello di analizzare il regime ordinario della tassazione nonché i risvolti ai fini delle imposte indirette e le ripercussioni su parte acquirente. Si rinvia, infine, a successivi interventi le altre modalità di tassazione.

Ai fini della nostra analisi occorre precisare che le aziende non rientrano tra i beni di cui all’articolo 85 del T.U.I.R. e pertanto la loro cessione non genera ricavi ma piuttosto l’emersione di plusvalenze le quali concorrono alla formazione del reddito ai sensi dell’articolo 101 del T.U.I.R..

La plusvalenza realizzata concorre per l’intero ammontare a formare il reddito di impresa del periodo di competenza, con conseguente assoggettamento alle imposte sui redditi con l’aliquota IRES o con le aliquote progressive IRPEF, a seconda della natura soggettiva del cedente.

E’ il caso di precisare che, proprio nel rispetto del predetto concetto di “unitarietà”, la plusvalenza non va rilevata e quantificata fiscalmente con riferimenti ai singoli beni autonomamente considerati ma in relazione all’intera azienda.

Ai fini della rilevanza ai fini IRAP della plusvalenza da cessione a titolo oneroso dell’azienda si deve tenere conto di quanto contenuto nell’articolo 5 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446. In base a tale normativa la base imponibile IRAP delle imprese industriali, mercantili e di servizi  è determinata dalla differenza tra i due seguenti aggregati:

  • valore della produzione (voce A dello schema di conto economico di cui all’art. 2425 del codice civile);
  • costi della produzione (voce B dello schema di conto economico di cui all’art. 2425 del codice civile). A tal proposito si precisa che ai fini della determinazione della base imponibile IRAP i costi della produzione vanno “depurati” sia dei componenti negativi non deducibili ai fini IRES, apportando le opportune variazioni in aumento, nonché gli ulteriori componente negativi non deducibili ai soli fini IRAP, così come previsto dall’articolo 11 del D.Lgs. n. 446/1997.

Appare evidente che i componenti positivi e negativi classificati in una voce di conto economico diversa dalle precedenti non assumono rilevanza ai fini IRAP, salve solo alcune eccezioni.

Orbene, in considerazione del fatto che sia le plusvalenze sia le minusvalenze derivanti da operazioni aventi per oggetto aziende o rami d’azienda dell’impresa costituiscono componenti straordinari, queste sono da classificare nel seguente modo:

  1. plusvalenze – voce E.20 del Conto Economico;
  2. minusvalenze – voce E.21 del Conto Economico.

La diretta conseguenza di tale classificazione è la non rilevanza delle plusvalenze e delle minusvalenze ai fini IRAP. Tale orientamento è stato confermato anche dall’Amministrazione Finanziaria ( Cfr. C.M. 4 giugno 1998 n. 141/E, § 3.2.1.2)

Ai fini delle imposte indirette le cessioni che hanno per oggetto aziende (o rami d’azienda) non sono considerate cessioni di beni ai sensi dell’articolo 2, comma 3, lettera b) del DPR 633/72. Pertanto non rilevano ai fini dell’applicazione dell’IVA.

Di contro l’atto di cessione d’azienda è soggetto ad imposta proporzionale di registro. Si ricorda che la legge dispone che la registrazione deve essere richiesta entro venti giorni dalla data dell’atto se formato in Italia ovvero entro sessanta giorni se formata all’estero.

Ai fini della determinazione dell’imposta di registro occorre considerare il valore corrente dell’azienda ceduta, comprensivo dell’avviamento, al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie. Sulla base imponibile si applica, in linea generale, l’aliquota residuale del 3%. Qualora il complesso aziendale trasferito contenga beni soggetti ad aliquote diverse, si applicano le aliquote riguardanti i diversi beni. L’applicazione di diverse aliquote a seconda della categoria di beni è possibile, ovviamente, solo se nell’atto di trasferimento sia specificato il valore attribuito a ciascuno di essi.

E’ il caso di evidenziare che a seguito dell’introduzione del comma 5-bis dell’articolo 52 del DPR 131/1986 qualora tra le attività facenti parte del complesso aziendale trasferito siano presenti immobili l’Amministrazione Finanziaria  ha il potere di rettificare anche il valore degli immobili presenti nell’atto di trasferimento sulla base del valore venale dello stesso.

Da parte del cessionario questi si vede attribuiti i beni facenti parte dell’azienda compreso l’eventuale avviamento. Tali beni dovranno essere presi in carico dal cessionario e assoggettati con le regole fiscali sulla base del corrispettivo pagato per il loro acquisto.

Sotto il profilo strettamente fiscale le quote di ammortamento del valore dell’avviamento, iscritto nell’attivo, sono deducibili in misura non superiore ad un diciottesimo del valore stesso.