La reale natura dell’operazione di acquisizione/cessione di uno studio professionale

Sino a 15 anni fa, in assenza dei necessari supporti di carattere normativo/giurisprudenziale, le operazioni di cessione/acquisizione degli studi professionali venivano concluse in forma semi clandestina ed in un clima di incertezza, ove poteva persino essere messa in discussione la stessa liceità delle medesime. Ora che il tema inerente la liceità è stato ampiamente superato dalla posizione assunta sul punto dal legislatore e dalla giurisprudenza (ved. nota 1), diviene importante dedicare una riflessione alle modalità con cui si perfezionano nella prassi queste operazioni, al fine sia di comprenderne la loro reale natura sia di avere ben chiare quali siano le potenzialità che esse offrono nell’ambito della carriera di un professionista.

Partiamo dal primo caposaldo del ragionamento che vogliamo sviluppare: quando parliamo della vendita di uno studio professionale non ci riferiamo ad un contratto assimilabile alla vendita di un immobile o di un veicolo o di un’azienda. E questo per un duplice ordine di motivazioni:

  1. la componente prevalente che valorizza lo studio professionale è costituita dai rapporti professionali in essere con i clienti, i quali certo non sono “beni disponibili” come quelli appena citati;
  2. lo studio professionale è costituito da un insieme di beni/rapporti giuridici funzionali all’esercizio di un’attività economica, la cui struttura organizzativa, per giurisprudenza e dottrina dominante, non configura un’azienda, in quanto nettamente subordinata rispetto alla figura del professionista ed alla prestazione tipicamente personale di quest’ultimo, nonchè priva di quella capacità di creare reddito che invece inerisce l’organizzazione aziendale in via concettualmente autonoma rispetto all’imprenditore.  

Vedremo, pertanto, che il contratto di cessione di uno studio professionale, così come si è sviluppato nella prassi italiana, cela un’operazione assai più complessa ed articolata, nell’ambito della quale la realizzazione di un’aggregazione fra due professionisti e/o fra le 2 strutture da loro gestite, costituisce insieme sia condizione necessaria sia conseguenza diretta dell’operazione di cessione medesima. Ancora oggi i professionisti con cui parliamo, o l’Ordine professionale che ci invita all’evento dedicato alla materia, a volte esprimono un certo pudore nel parlare di cessione di uno studio professionale, quasi che la mera vendita potesse evocare un lato commerciale poco consono alla più nobile (?) attività professionale o che la vendita dello studio rappresentasse un momento di sconfitta nell’ambito della carriera di un professionista. Succede che l’organizzatore dell’evento ci chieda gentilmente di enfatizzare nella locandina del convegno la parola “aggregazione” piuttosto che la parola “cessione”, probabilmente ritenendo la promozione di quest’ultima poco consona rispetto ai compiti istituzionali dell’Ordine.

Ebbene, queste preoccupazioni non hanno assolutamente ragione di essere, in quanto:

  • il contratto di cessione/acquisizione di uno studio professionale, pur prevedendo una necessaria monetizzazione in favore del professionista cedente (aggregato), si inserisce a pieno titolo nell’ambito della più ampia famiglia dei contratti di aggregazione fra professionisti;
  • l’operazione avente ad oggetto l’acquisizione/cessione di uno studio professionale costituisce, nella maggior parte dei casi, lo strumento di realizzazione di percorsi personali che coinvolgono più professionisti e che, lungi dall’essere connotati da elementi di disvalore, costituiscono la concretizzazione di progetti di sviluppo capaci di creare ricadute positive su una vasta platea di soggetti: titolari degli studi, collaboratori, dipendenti, familiari in genere e anche amministrazione statale.

Nei prossimo articoli, tratteremo più dettagliatamente quanto premesso nei 2 punti che precedono, partendo proprio dalla progettualità che nella prassi osserviamo essere da motore di queste operazioni.