La cessione dello studio professionale: confronto tra i codici deontologici

a cura di MPO & Partners

Il Decreto Bersani (D.L. 223/2006), in conformità al principio comunitario di libera concorrenza e a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, con l’art. 2 ha abrogato alcune disposizioni legislative e regolamentari in materia di attività libero professionali (obbligo delle tariffe, divieto di pattuire compensi parametrati agli obiettivi perseguiti, divieto di svolgere pubblicità informativa, divieto di fornire all’utenza servizi interdisciplinari da parte di società di persone o associazioni tra professionisti).

Tali norme, come disposto dal comma 3 dell’art. 2, entro il primo gennaio 2007 dovevano essere recepite dai codici deontologici e nell’ipotesi di mancato adeguamento, a decorrere dalla medesima data, le leggi in contrasto con quanto previsto dall’art. 2 sarebbero divenute in ogni caso nulle.

In aggiunta a queste disposizioni, la liberalizzazione si è realizzata anche a livello fiscale (D.L. Bersani, art. 36 ‘Recupero di base imponibile’) attraverso l’ammissione, quale reddito professionale, delle plusvalenze/minusvalenze dei beni strumentali (art. 54 c. 1-bis TUIR) ma anche dei corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali riferibili all’attività (art. 54 c. 1-quater TUIR). Infine il contratto di cessione dello studio è stato chiaramente legittimato anche dalla Suprema Corte con la sentenza n. 2860/2010.

Tu ciò, ovviamente, non condiziona direttamente il contenuto dei codici deontologici professionali ma è pur vero che nell’ipotesi di vendita dello studio professionale (come avviene per l’ordinaria attività professionale) è sempre richiesto un comportamento deontologicamente corretto in considerazione del rapporto fiduciario clientela-professionista esistente.

Scopo di questo articolo è fare una panoramica di quanto previsto dai diversi codici, distinguendo tre macro-aree (economico-giuridica, tecnica e sanitaria).

Area economico-giuridica

Tra le professioni economico-giuridiche, solo il codice deontologico dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ammette in maniera chiara l’operazione di cessione di clientela di uno studio professionale. L’articolo 15, infatti, dispone che non può considerarsi prestazione, per la quale si versa o si riceve un corrispettivo, la sola indicazione ad un cliente del nome di un collega o di un altro professionista, “fatti salvi i pagamenti effettuati tra professionisti per la cessione dello studio professionale ovvero di elementi, anche immateriali, di esso”.

Il codice dei consulenti del lavoro non contiene alcun riferimento esplicito alla cessione di clientela. Unico riferimento è l’articolo 13 il quale prevede che “la concorrenza deve svolgersi secondo i principi dell’ordinamento giuridico” e indica una serie di atti di concorrenza sleale (quali ad esempio la diffusione di notizie e apprezzamenti idonei a determinare il discredito; compimento di atti preordinati, in via esclusiva, ad arrecare pregiudizio; l’uso di segni distintivi dello studio idonei a produrre confusione con altro professionista; la distrazione da parte del Consulente chiamato a sostituire temporaneamente nella gestione dello studio un collega sospeso o impossibilitato di clienti di quest’ultimo; l’esercizio dell’attività nel periodo di sospensione o con titolo professionale/formativo non conseguito) ma nessun richiamo alla cessione di studio professionale.

Per quanto concerne gli avvocati tra le disposizioni deontologiche non si rilevano espliciti riferimenti alla cessione di uno studio professionale e della relativa clientela ma solo ad atti di concorrenza sleale o illecita.

Pertanto le operazioni di vendita dello studio di consulente del lavoro e di avvocato, realizzate sulla base di un regolare contratto di cessione, non costituiscono un atto di concorrenza sleale in quanto chiaramente legittimata dal Decreto Bersani e dalla Sentenza della Cassazione 2860/2010.

Diversamente dalle professioni precedentemente indicate il codice deontologico dei notai indica espressamente l’ipotesi del rilevo a titolo oneroso dello studio notarile quale violazione del dovere di imparzialità del notaio. Per tale motivi si esclude, solo per tale professione, la possibilità di acquisire uno studio nel rispetto delle disposizioni deontologiche.

Area sanitaria

Nel codice di deontologia medica (medici-chirurghi e odontoiatri non si rilevano disposizioni riguardanti la cessione di clientela mentre, in materia di conflitto di interesse, si chiarisce che i medici possono ricevere compensi, retribuzioni o altre forme di elargizione solo attraverso i meccanismi previsti dalla normativa vigente; inoltre, in materia di onorari professionali, il medico può prestare gratuitamente la sua opera in particolari circostanze purché tale comportamento non costituisca concorrenza sleale o illecito accaparramento di clientela.

Anche il codice di deontologia dei veterinari nulla definisce in merito alla cessione dello studio ed, analogamente al codice dei medici, ammette che, in situazioni eccezionali, il medico veterinario possa prestare la sua opera gratuitamente purché questo non costituisca concorrenza sleale o illecito accaparramento di clientela.

Area tecnica

Tra le più diffuse operazioni di cessione di studi tecnici evidenziamo le professioni di geometra, architetto e ingegnere.

Nel codice di deontologia professionale dei geometri non si evidenzia alcun riferimento alla cessione dello studio professionale e della relativa clientela ma si specificano gli atti di concorrenza sleale nell’omissione o emissione irregolare di fatture a fronte di prestazioni rese e nell’impiego di qualunque altro mezzo illecito volto a procurarsi la clientela.

Anche il codice deontologico degli architetti non contiene disposizioni inerenti la cessione dello studio professionale ma ammette il subentro di un professionista nell’ipotesi in cui si verifichino delle situazioni che non permettono la prosecuzione dell’incarico professionale.

In particolare, l’art. 6 prevede che, in caso di circostanze impeditive della prestazione richiesta, l’architetto debba comunicare al cliente le circostanze sopravvenute proponendo allo stesso l’ausilio di altro professionista e, ancora, l’art. 29 disciplina il subentro nello svolgimento di un incarico, il quale deve avvenire senza pregiudizio per il proseguo dell’opera; infine, l’art. 35, inerente la cessazione dell’incarico, precisa che qualora l’architetto non sia in grado di proseguire l’incarico con specifica competenza, per sopravvenute modificazioni alla natura e difficoltà della prestazione, ha il dovere di informare il cliente e chiedere di essere sostituito o affiancato da altro professionista, al fine di non arrecare pregiudizio al cliente.

Per concludere l’esame delle professioni tecniche, analogamente, il codice deontologico degli ingegneri, nella parte in cui disciplina l’illecita concorrenza, fa esclusivo riferimento all’abuso di mezzi pubblicitari dell’attività professionale che possano ledere in vario modo la dignità della professione.

Alla luce di quanto sopra esposto si evince che in tutti i codici osservati non si rilevano disposizioni esplicite con riferimento alla cessione di uno studio professionale e della relativa clientela ma solo riferimenti ad atti di concorrenza sleale o illecita si evince che è valida e lecita l’operazione di cessione dello studio.

MPO & Partners

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