Conseguenze delle limitazioni al socio esterno nello sviluppo degli studi legali

a cura di MPO & Partners

Nell’attuale contesto competitivo, caratterizzato da un trend negativo della profittabilità, l’obiettivo perseguito dagli studi legali dovrebbe essere quello dell’espansione, contemporaneamente riducendo i costi e aumentando la qualità dei servizi offerti.
Il raggiungimento di tale obiettivo dipende, ovviamente, da un mix di fattori diversi, tra i quali le dotazioni di capitale rivestono un ruolo preponderante, se non primario: basti pensare alle risorse necessarie per gli investimenti in tecnologia e training, che permetterebbero prezzi più bassi e una maggiore qualità della prestazione.
A differenza delle società commerciali, gli studi legali trovano tuttavia forti limitazioni nei propri percorsi di sviluppo sia esterno sia interno a causa della loro particolare natura: in molte legislazioni, infatti, non è consentito l’ingresso di soci finanziatori non abilitati, e di conseguenza anche l’accesso al mercato dei capitali. Si ritiene, infatti, che ciò possa comportare perdita di indipendenza e professionalità, oltre che potenziali conflitti d’interesse.

Ne consegue che le risorse finanziarie possono essere fornite solo dai partner, sotto forma di capitale, oppure da banche, hedge fund e altri soggetti, sotto forma di debito.
Nel primo caso (capitale dei soci) si tratta tuttavia di fonti di finanziamento non permanenti, spesso ritirate dal socio uscente, e che risultano sempre meno significative all’aumentare delle dimensioni dello studio.
Per quanto riguarda il debito, invece, il finanziamento può essere difficile da ottenere ed ha costi spesso molto elevati che impattano negativamente sulla redditività, di per sé già sotto pressione. Inoltre, contratti di finanziamento costruiti ad hoc hanno portato in alcuni casi limite ad un’eccessiva ingerenza del soggetto finanziatore nella gestione, ad esempio prevedendo un diritto di veto sulla designazione degli avvocati per particolari cause.

La chiusura verso l’esterno determina, di riflesso, anche l’impossibilità di fornire servizi multidisciplinari, e la difficoltà di ottenere una giusta valorizzazione della propria partecipazione, qualora sopraggiungesse l’uscita del partner.

Ancora, il fatto che in molte legislazioni i componenti dell’organo di gestione non possano essere estranei alla compagine sociale (e quindi soggetti non abilitati), comporta limitazioni nella composizione del management: in caso di studi strutturati e di grosse dimensioni è possibile che i soci non abbiano le competenze manageriali adeguate (indispensabili) o non conoscano gli strumenti formali di pianificazione e controllo (non indispensabili ma certamente utili).
È poi da sottolineare anche come i partner prediligano spesso un’ottica di profitti a breve termine rispetto alla creazione di valore nel lungo termine; difficilmente sono favorevoli, ad esempio, ad una riduzione dei prezzi nel breve periodo a favore di una maggiore creazione di valore futuro, concetto che è invece ormai assodato per il mercato e gli investitori.

Infine, anche qualora lo studio riuscisse a diventare sufficientemente grande da superare i confini nazionali, la sua espansione potrebbe essere bloccata dalla pressione competitiva globale di altri studi le cui legislazioni non prevedono limitazioni alla raccolta del capitale.
Alcuni Paesi hanno infatti deciso di lasciare libertà (seppure entro certi limiti) alla professione legale nelle modalità di organizzazione e raccolta del capitale, permettendo una più rapida espansione di tutti i servizi professionali; parliamo di Australia, Inghilterra, Canada e, unica eccezione americana, Washington D.C. . In questi paesi si sono così verificati anche i primi casi di quotazione in borsa di studi legali, tra i piu importanti Gateley (2015, UK), Slater & Gordon e Shine Corporate (2007 e 2013, AU).

Come riportato ad esempio da Gateley nell’Admission Document, la quotazione avrà diversi benefici, che spaziano dalla crescita dell’azienda ai vantaggi per i collaboratori/dipendenti:
“Gateley ha approfittato delle modifiche legislative adottando una Alternative Business Structure (“ABS”), con effetto dal 1 gennaio 2014, che consente a soggetti non abilitati alla professione di avvocato di possedere quote e investire in studi legali. Il Board ritiene che la combinazione tra struttura ABS, transizione da LLP a PLC e negoziazione sul mercato AIM, consentirà di migliorare e diversificare l’attività attraverso:
1. Maggiori opportunità di crescita organica – anche attraverso lateral hires di individui o gruppi;
2. L’opportunità di fare acquisizioni selettive, che possono includere sia (i) altri studi legali che offrono opportunità di espansione geografica o specializzazione, sia (ii) imprese che offrono servizi professionali complementari o di altra natura;
3. L’allineamento, attraverso la condivisione del capitale, degli obiettivi dei dipendenti con quelli dell’azienda, favorendo il mantenimento del personale e migliorando l’appeal di Gateley nel mercato del lavoro;
4. Un percorso di carriera più flessibile, amplificando ulteriormente l’appeal di Gateley nel mercato del lavoro; e
5. In generale, una maggiore visibilità.”

La tendenza ad un alleggerimento delle regole ha, infine, raggiunto anche l’Italia, dove con il DDL concorrenza si è potenzialmente aperto all’ingresso di soci di capitale nelle STA (società tra avvocati), ed è stato dato via libera anche alla costituzione di società interprofessionali; potenzialmente in quanto deve ancora essere superato il test del Senato, che dovrebbe avvenire entro fine anno.
Le principali limitazioni previste in merito sono tre:
• i soci professionisti, anche non avvocati, devono rappresentare almeno i 2/3 nelle deliberazioni o decisioni dei soci;
• i componenti dell’organo di gestione devono far parte della compagine sociale;
• resta fermo il principio della personalità della prestazione nell’esercizio della professione forense.
Il DDL interviene a rimuovere ostacoli regolatori all’apertura dei mercati, a promuovere lo sviluppo della concorrenza e a garantire la tutela dei consumatori, anche in applicazione dei princìpi del diritto dell’Unione europea in materia di libera circolazione, concorrenza e apertura dei mercati, nonché alle politiche europee in materia di concorrenza.

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