Come il mondo delle professioni viaggia verso il futuro con AI e progetti di aggregazione, in attesa di una legge delega che apra ulteriori possibilità soprattutto ai giovani

Di questo sì è discusso nel talk organizzato da MpO, società specializzata in aggregazioni e fusioni di studi professionali, lo scorso 5 dicembre a Milano

Le aggregazioni tra studi rappresentano ormai, inequivocabilmente, il futuro del mondo professionale,  perché è il mercato a chiedere delle realtà più strutturate, con competenze e specializzazioni sempre più trasversali. Serve una consapevolezza e gli strumenti perché questo cambiamento possa essere possibile. E’  questo il focus del talk show che si è svolto a Milano lo scorso 5 dicembre dal titolo: “ Legge Delega e nuove  opportunità per gli studi professionali” cui hanno preso parte – moderati da Isidoro Trovato, giornalista de  Il Corriere della Sera Antonino La Lumia, Presidente dell’ordine degli Avvocati di Milano, Alessandro  Solidoro, già presidente dell’ordine dei commercialisti di Milano e ex Vicepresidente Accountancy Europe,  Dino Porello, amministratore delegato di Henry Schein Krugg e Potito di Nunzio, Presidente dell’ordine dei  Consulenti Del Lavoro di Milano, insieme a Corrado Mandirola e Alessandro Siess founder partners di MpO.  

Ad aprire i lavori è stato Corrado Mandirola con una fotografia della situazione attuale riguardo aggregazioni,  fusioni e acquisizioni: “In Italia sta accadendo quanto è accaduto ormai 20 anni fa in nei paesi anglosassoni,  Australia e Stati Uniti in particolare. A partire dai primi anni 2000, con riferimento agli studi dei commercialisti  e dei consulenti del lavoro, ed in particolare nel Centro e nel Nord Italia, si è assistito ad un numero sempre  crescente di operazioni legate al passaggio generazionale. Dal 2010 circa invece abbiamo assistito alla nascita  di operazioni con una doppia finalità: la prima gestire tutte le attività ripetitive e standardizzabili secondo  logiche industriali e, la seconda, aggregare competenze diverse. E’ così che anche il nostro ruolo di advisor è  diventato quello di un soggetto che deve realizzare progetti complessi di strutture multidisciplinari. Nel periodo successivo al Covid, poi, alcuni di questi studi – che avevano già realizzato progetti aggregativi con  mezzi propri– ci hanno incaricato di trovare soggetti che potessero finanziare questa crescita, modificando  ulteriormente lo scenario delle aggregazioni. Avere un quadro preciso di quello che sta accadendo è  importante soprattutto per i giovani che non sanno che questo cambiamento porterà delle realtà sicuramente  più interessanti, per le opportunità di carriera e di specializzazione che al loro interno saranno possibili”.  

La parola passa quindi a Dino Porello, AD di Henry Schein Krugg Italia, per illustrare come i dentisti  rappresentano in questo panorama un fattore di diversità con ad esempio le catene dentistiche, che sono  una forma di aggregazione con un capitale esterno e quindi più evoluta rispetto agli altri settori: In Italia ci  sono 37 mila studi odontoiatrici, in Inghilterra 8 mila. In Italia ci sono 8 mila laboratori, in tutti gli Stati Uniti  5 mila laboratori. Questi dati indicano quant’è frammentato il mondo dell’odontoiatria in Italia, ma lo era  ancora di più 10 anni fa. Poi cosa è successo? Prima di tutto l’inserimento all’interno degli studi di nuovi  processi per lavorare. 10 anni fa c’era solo 1/3 dei dentisti che aveva una soluzione digitale all’interno del  proprio studio, adesso siamo oltre i 2/3. Questo ha accorciato i tempi, ha permesso di ridurre i costi, ha  cambiato il modo di lavorare, ma ha anche richiesto ai dentisti investimenti e aggiornamenti, trasformazioni  e specializzazione. Questo è uno degli elementi che ha portato un cambiamento forte e di conseguenza ha  anche guidato sempre più processi di aggregazione tra gli studi. Un secondo aspetto è che negli ultimi 10 anni  in Italia hanno iniziato a svilupparsi delle catene che rappresentano oggi circa il 10% degli studi odontoiatrici  in Italia. Questo ha fatto sì che i pazienti incominciassero poi a guardare con maggiore attenzione ai costi, a capire di più quelli che sono i trattamenti, le cure offerte. Quante volte succede oggi che il cliente richieda più  preventivi a più dentisti. Dieci anni fa questa cosa non succedeva e anche questa è una spinta all’evoluzione.  Un terzo aspetto è l’età media dei professionisti: in Italia, il 25% degli odontoiatri ha più di 60 anni. Questo  vuol dire che nei prossimi 4/5 anni, un quarto della popolazione dei dentisti si ritirerà favorendo acquisizioni, cessioni di studi. In conclusione, chi vince in questo settore? Non certo gli studi monoprofessionali, ma le  strutture medio grandi che sanno portare innovazione, investimenti, specializzazione”.  

Dopo aver analizzato il mondo dei dentisti, con Alessandro Siess (MpO) si è volto lo sguardo all’area  economico giuridica evidenziando come il mercato delle aggregazioni nel mondo odontoiatrico sia stato il  primo a essere soggetto di un interessamento da parte dell’imprenditoria, creando così un precedente per le  altre categorie professionali. 

Non solo, spiega Siess: “L’ingresso delle catene, quindi di società di capitali partecipate ha determinato una  forte accelerazione del processo di imprenditorializzazione dell’attività professionale. Ciò ha però avuto anche  qualche conseguenza in termini di spersonalizzazione dell’attività professionale poiché il cliente viene attratto  da un’organizzazione, da un brand che si distingue per una proposta allettante sia sul piano economico, ma  anche in termini di fruibilità del servizio. È un qualcosa che ha fatto breccia in breve tempo, ma la corsa un  po’ “ossessiva” al profitto ha portato a una inevitabile diminuzione degli standard qualitativi della  prestazione, anche per l’impiego di professionisti a basso costo e per un turn over continuo delle figure  sanitarie. Allo stesso tempo nel panorama italiano hanno iniziato ad affermarsi cliniche strutturate, con standard qualitativi molto alti, meno riproducibili in termini di scalabilità, ma con una grande marginalità e un’efficienza in grado di fidelizzare il paziente. Questo tipo di cliniche sono entrate nel mirino anche del mondo  del capitale che, per farle entrare nel loro business, ha dovuto coinvolgere necessariamente il professionista quale garante della qualità della prestazione e dei rapporti con la pazientela. Questo processo accaduto nel  mondo odontoiatrico ha suggerito così un modello che si applica anche in altri settori professionali”. 

Per capire come si traduce nel mondo economico giuridico questo fenomeno, è stato sentito il parere di  Antonino La Lumia Presidente dell’ordine Degli Avvocati di Milano: “Credo che oggi l’avvocatura, come  l’intero mondo delle professioni, stia vivendo un periodo di transizione piuttosto forte. L’ordine di Milano sta  cercando di liberare energie sulle aggregazioni, perché riteniamo che oggi siano un fattore chiave nello  sviluppo, ma anche nel consolidamento delle professioni. L’avvocatura è forse fra le professioni più arroccata  sugli schemi tradizionali dello studio monopersonale. Oggi invece tutto è cambiato. La multidisciplinarietà, e  anche la capacità di far combaciare diverse possibilità operative all’interno dello studio, diventa centrale.  Inoltre, il processo organizzativo degli studi oggi deve fare i conti con l’intelligenza artificiale che nel giro di 5  anni impatterà in maniera molto forte sull’assetto generale degli studi professionali e legali. Per quanto  riguarda le aggregazioni, un principio che dovrebbe essere incentivato è quello della neutralità fiscale delle  operazioni di riorganizzazione degli studi professionali. Ci sono sicuramente degli aspetti della delega fiscale  da migliorare per strutturare una nuova visione che possa consentire una crescita e uno sviluppo delle  aggregazioni senza mortificare la posizione dei professionisti singoli”.  

E’ stato poi coinvolto Potito di Nunzio, Presidente dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Milano, per  affrontare cosa succede nel suo settore. 

“Sono tre le direttrici principali” commenta di Nunzio ”cioè le competenze che dobbiamo avere nel futuro, le  organizzazioni e la tecnologia. Noi consulenti del lavoro siamo 1000 di cui il 30% è over sessant’anni. Uno  studio decennale con il Politecnico di Milano rivela che nel 2015 l’80% operava individualmente, nel 2022 solo un 10% è passato a forme giuridiche diverse. Quello che ci preoccupa è che 10 anni fa l’età media dei  professionisti era 48 anni, oggi è 51. I nostri dipendenti sono passati a 38 anni a 41 anni. Però l’età media  scende a 44 anni nelle grandi aggregazioni. Chi vede meglio la professione nel futuro sono sempre coloro i  quali hanno uno studio organizzato, o multidisciplinare. 

Alla domanda su quali sono i principali pericoli percepiti, si parla di tecnologia nel 37% degli intervistati. Se la  semplificazione porta a una riduzione di attività standardizzate, chi ha puntato soltanto sugli adempimenti avrà qualche problema. Le difficoltà di reperire personale è un altro dilemma. Al 23% c’è il passaggio  generazionale. Nel contesto delle piccole imprese (97% con meno di 10 dipendenti), i consulenti sono presenti  nei processi di supporto ma meno nei primari, mentre gli studi aggregati dominano. La mancanza nei processi  direzionali emerge, richiedendo riflessioni sulle competenze e sull’attrattività degli studi. 

Noi abbiamo 40 praticanti su 1000 iscritti a Milano! La pandemia ha spinto i giovani a valorizzare la vita  privata. Fondamentali sono le competenze, per essere più presenti nelle strategie di impresa, e  l’organizzazione perchè da soli non si va da nessuna parte”. 

Alessandro Solidoro già presidente dell’ordine dei commercialisti di Milano e ex Vicepresidente  Accountancy Europe è stato sentito per ultimo riguardo come sta cambiando il mondo delle professioni in  Italia in relazione ad altri paesi europei. 

I professionisti singoli che fanno i commercialisti in Italia sono 57.166” spiega Solidoro rispetto alla totalità  degli iscritti, che è di poco superiore ai 110.000. La condivisione degli studi riguarda 12.000 professionisti che  danno luogo a 4800 studi (con una media di 2,5 professionisti per studio). Quelli che lavorano in forma  associata sono 15.000 con 5.500 strutture (2,7 per studio). Ci sono poi 4.300 dottori commercialisti in 1600 STP (dato medio: 2.7). La fotografia che ci dà oggi il nostro paese sull’organizzazione della mia professione 

dice che la forma individuale è dominante, l’individuazione di strumenti associati è progressivamente  maggiore, ma il risultato è comunque di aggregazioni molto piccole. In Germania, è considerato piccolo uno  studio di 150 professionisti….. Quando facciamo il confronto a livello internazionale però è necessario fare un  parallelo tra i sistemi economici. l’Italia ha una caratterizzazione di piccole e medie imprese che in realtà corrisponde al concetto di micro in ambito europeo. Se il 97% delle imprese è significativamente micro, ha  necessità di una stessa frammentazione a livello professionale. Tant’è il sistema economico del paese, tant’è  il sistema sociale, tant’è il numero di professionisti. Se così è, perché complicarsi la vita? Una recentissima  ricerca della Fondazione Nazionale dei Commercialisti spiega perché uno dovrebbe provare a costruirsi una  struttura più organizzata: il moltiplicatore di reddito per coloro i quali lavorano all’interno di strutture  associate è di 2.4 (a Milano sale a 3.29). Nonostante questo, la risposta quantitativa è ancora modesta, perché  solo il 20% degli iscritti, a livello nazionale, sta in una struttura organizzata. E la percentuale massima si  raggiunge sopra isessant’anni perché l’associazione è vissuta come lo strumento per costruirsi una buonuscita  dal mondo del lavoro. Secondo me invece un buon motivo di aggregazione è il tema del moltiplicatore di  benessere perché chi lavora in una struttura più articolata condivide responsabilità con altri e forse riesce a  ritagliarsi spazi di vita qualitativamente più interessanti. Il tema dell’intelligenza artificiale? C’è tutto un  mondo di adempimenti che non sarà più un essere umano a fare. Il problema dei giovani è lo stesso di tutte  le professioni. Questo è un paese che ha perso un po’ il concetto dell’ascensore sociale e il modello tradizionale  di sacrificio e impegno deve essere integrato con soluzioni innovative per consentire ai giovani di trovare  spazio e soddisfazione in dimensioni diverse”. 

Sono Corrado Mandirola e Alessandro Siess (MpO) a tirare le conclusioni, il primo, invitando chi si occupa di  ruoli istituzionali a sensibilizzare i professionisti sul cambiamento radicale che è in atto; il secondo  sottolineando l’importanza di una cultura verso le aggregazioni.