Cessione studio commercialista. La rilevanza delle plusvalenze e minusvalenze relative a beni strumentali.

a cura di MPO & Partners

Nelle operazioni di cessione dello studio di commercialista (ma anche di altre professioni) particolare attenzione deve essere prestata anche al trattamento fiscale della cessione dei beni strumentali facenti parte dello studio.

Com’è noto il Decreto Legge n. 223, entrato in vigore il 4 luglio 2006, ha modificato in modo incisivo alcune regole di determinazione del reddito di lavoro autonomo. E’ il caso di ricordare che il DL 223/2006 ha introdotto, all’interno dell’articolo 54 del TUIR, il comma 1-quater il quale ha espressamente previsto che, nel caso di cessione dello studio professionale, i corrispettivi percepiti devono rientrare tra i redditi professionali.

La riforma dell’articolo 54 del TUIR avviene anche attraverso l’introduzione dei commi 1-bis e 1-ter i quali prevedono che concorrono a formare il reddito del professionista anche le plusvalenze dei beni strumentali mobili e immobili, se:

  1. sono realizzate mediante cessione a titolo oneroso;
  2. sono realizzate mediante risarcimento, anche in forma assicurativa, per la perdita o il danneggiamento di beni;
  3. i beni sono destinati al consumo personale o familiare del professionista o a finalità estranee all’arte o professione

Sono escluse le cessioni di beni il cui costo di acquisto non è ammortizzabile, come ad esempio gli immobili e gli oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione.

Così come chiarito dall’Amministrazione Finanziaria (Cfr. Circolare Agenzia delle Entrate n. 28 del 4/8/2006) le plusvalenze rilevano fiscalmente al momento della percezione del corrispettivo e, quindi, per le stesse, si applica il criterio di cassa. Una diretta conseguenza di tale trattamento, ed in mancanza di specifica normativa in riferimento, è che non vi sia la possibilità per il professionista di rateizzare in più esercizi la plusvalenza realizzata, a differenza di quanto avviene per le imprese, di frazionare le plusvalenze in un massimo di cinque esercizi, nel caso in cui i beni siano posseduti da almeno 3 anni, così come previsto dall’art. 86 comma 4 del TUIR.

La plusvalenza risulta dalla differenza positiva tra il corrispettivo o l’indennità percepita e il costo non ammortizzato. La plusvalenza deve essere calcolata, invece tra il valore normale del bene e il costo non ammortizzato in caso di assenza di corrispettivo.

Nell’ipotesi di beni il cui costo non sia integralmente deducibile, le plusvalenze e le minusvalenze patrimoniali rilevano nella stessa proporzione esistente tra l’ammontare dell’ammortamento fiscalmente dedotto e quello complessivamente effettuato.

In presenza di un costo dei beni non integralmente deducibili (come ad esempio le autovetture), le plusvalenze patrimoniali “rilevano nella stessa proporzione esistente tra l’ammontare dell’ammortamento fiscalmente dedotto e quello complessivamente effettuato” (Cfr. la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28 del 4.8.2006).

Per quanto concerne, infine, per i beni mobili ad uso promiscuo, stante la deducibilità nella misura del 50% delle quote di ammortamento di tali beni, le plusvalenze/minusvalenze relative alla cessione di tali beni dovrebbero rilevare nella stessa misura. In questo senso si è espresso anche il CNDC con la circolare n. 1/IR del 12 maggio 2008.

MPO & Partners

Cessione studio commercialista – Beni strumentali