Cessione di clientela: la sentenza della Cassazione n. 2860/2010

a cura di MPO & Partners M&A

Cessione studio professionale – clientela – oggetto del contratto – liceità

La Cassazione Civile, con Sentenza n. 2860/2010, ha riconosciuto possibile e lecita la cessione dello studio professionale, e della relativa clientela, che avviene a fronte del pagamento di un corrispettivo, affermando che “è lecitamente e validamente stipulato il contratto di trasferimento a titolo oneroso di uno studio professionale, comprensivo non solo di elementi materiali e arredi, ma anche della clientela, essendo configurabile, con riferimento a quest’ultima, non una cessione in senso tecnico (attesi il carattere personale e fiduciario del rapporto tra prestatore d’opera intellettuale e cliente e la necessità, quindi, del conferimento di un nuovo incarico dal cliente al cessionario) ma un complessivo impegno del cedente volto a favorire – attraverso l’assunzione di obblighi positivi di fare (mediante un’attività promozionale di presentazione e di canalizzazione) e negativi di non fare (quale il divieto di riprendere ad esercitare la medesima attività nello stesso luogo) – la prosecuzione del rapporto professionale tra i vecchi clienti ed il soggetto subentrante”.

Le motivazioni della pronuncia si riconducono essenzialmente al recente disposto normativo del Decreto Bersani-Visco (D.L. 223/2006) e all’orientamento giurisprudenziale passato che ha riconosciuto l’organizzazione in forma di azienda anche agli studi professionali (Cass. n. 11896/2002; Cass. n. 10178/2007).

Con riferimento specifico allo svolgimento del processo, nel 1994, il titolare di uno studio professionale – nel quale esercitava l’attività di fiscalista con un volume d’incasso annuo di L. 100 milioni circa – cedeva al rag. […] lo studio in questione, completo di arredi, per un corrispettivo di 120 milioni (di cui clientela stimata per 100 milioni) da corrispondersi ratealmente e prevedendosi non solo la continuazione della prestazione della collaborazione da parte del cedente, ma anche l’obbligo di ottenere l’intestazione del contratto di locazione direttamente in capo al cessionario e, in caso di “decremento della fatturazione dello studio”, la diminuzione del prezzo “nella misura proporzionale al decremento registrato”.
Nel 1996 l’acquirente citava in giudizio il cedente dinanzi al tribunale di Catania, chiedendo la nullità del contratto per contrarietà a norme imperative e per illiceità dell’oggetto (a suo parere, la clientela non poteva formare oggetto di scambio) e la conversione parziale della scrittura privata in altro contratto, per la parte relativa agli arredi e alla cessione del contratto di locazione e delle utenze.
Con sentenza del 18/01/2002, il tribunale di Catania accoglieva la domanda dell’acquirente, dichiarando la nullità del contratto per impossibilità dell’oggetto ma rigettando la richiesta di conversione. Secondo il giudice, infatti, la destinazione unitaria dei beni non creava alcuna ulteriore utilità giuridicamente apprezzabile rispetto ai singoli componenti, e ciò perché la già esistente organizzazione di beni unitariamente considerati rappresentava già una chiara utilità economica, diversa dalle capacità professionali del titolare.
Successivamente, con sentenza del 16/10/2004, la Corte di Appello di Catania riformava la decisione di I grado, ritenendo l’oggetto del contratto esistente, possibile e lecito, premesso che lo stesso fosse da individuare nel complesso dei beni finalisticamente organizzati per l’esercizio dell’attività ed idonei, in quanto tali, a produrre e a mantenere un determinato livello di reddito. La liceità era motivata considerando che l’oggetto del contratto non era direttamente la clientela, sebbene un complesso organizzato di beni idonei a produrre reddito; inoltre, il riferimento al fatturato dello studio era stato fatto in relazione all’entità e alle modalità di pagamento dell’ultima tranche di prezzo e non ad un eventuale corrispettivo per la clientela ceduta, la quale non costituiva oggetto del contratto.
L’acquirente, a tal punto, proponeva ricorso per Cassazione, la quale si pronunciava nella predetta sentenza n. 2860 del 2010.

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