Cessione brand dello studio legale: il compenso configura reddito di lavoro autonomo

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Cedere un attività professionale significa cedere, oltre al pacchetto clienti del professionista, ogni elemento di natura immateriale riconducibile all’immagine dello studio cedente ovvero il ‘nome’ che lo identifica, distinguendolo dagli altri per le abilità e capacità intellettuali dei professionisti che operano all’interno dello stesso.

In taluni casi, soprattutto con riferimento agli studi di avvocati, architetti, ingegneri o geometri, la specificità delle prestazioni offerte non implica l’identificazione di una clientela ‘stabile’ nel tempo per il semplice fatto che le attività richieste si esauriscono in un preciso momento e non sono ripetibili negli anni, per gli stessi clienti, con una continuità prestabilita (ad esempio, pratiche di separazione legale, progetti di costruzione, ecc.).

Diversa è la situazione per gli studi di dottori commercialisti, consulenti del lavoro o medici, per i quali gran parte del pacchetto clienti è legato in maniera continuativa alle prestazioni professionali (servizi di contabilità, consulenza fiscale, paghe, visite mediche); in tali ultime circostanze, dunque, è possibile analizzare nel dettaglio la clientela dello studio in quanto la stessa costituisce un elemento di valutazione ripetibile negli anni, salvo le ipotesi straordinarie in cui il rapporto cliente-professionista viene meno.

Per tali motivi, dunque, nella valutazione delle attività per le quali non è possibile identificare una clientela stabile, perché ‘sostituita’ continuamente da nuovi soggetti che richiedono le prestazioni professionali, il ‘nome’ dello studio assume un’importanza fondamentale nella determinazione della redditività ai fini di un’eventuale cessione.

A tal proposito, l’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 255/2009, rispondendo ad un interpello sul corretto trattamento fiscale applicabile alla cessione dello sfruttamento economico del diritto d’immagine da un professionista nei confronti di una società (dietro costituzione di una rendita vitalizia), ha affermato che, dal punto di vista reddituale, il compenso per la cessione dello sfruttamento del diritto di immagine, pur non essendo strettamente riconducibile all’attività professionale, configura reddito di lavoro autonomo ex art. 54 Tuir (in base al quale risultano ampliate le componenti positive dei redditi professionali, costituite oltre che dai compensi in denaro o in natura percepiti per l’esercizio dell’arte o della professione, anche dai corrispettivi percepiti a seguito della cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale).

Diversamente, prima che entrasse in vigore il Decreto Bersani (D.L. n. 223 del 04/07/2006) e, di conseguenza, l’art. 54, c. 1-quater Tuir, l’Agenzia, con Risoluzione n. 30 del 16/02/2006, aveva ricondotto ai redditi diversi, ex art. 67 Tuir, la tassazione del compenso derivante dalla cessione di un marchio che identificava uno studio legale.

Nello specifico, l’Agenzia rispondeva ad un interpello di un avvocato in merito al corretto trattamento fiscale applicabile all’acquisto del ‘marchio’ di un noto studio legale (dall’ottima e consolidata reputazione), al fine di aumentare la credibilità e affidabilità dello studio professionale acquirente nei confronti dei clienti.

Nel caso di specie non si realizzava una vera e propria cessione del marchio bensì un contratto di natura obbligatoria nel quale, a fronte del corrispettivo pagato, al contribuente istante si concedeva l’utilizzo del segno grafico dello studio per un periodo di 5 anni (sulla carta intestata, sull’elenco telefonico, sulla targa professionale, in occasione dei convegni, ecc.) al fine di apparire nei confronti dei clienti come uno studio associato o comunque collegato allo studio ‘cedente’.

Secondo l’Amministrazione Finanziaria, pur non realizzandosi una effettiva cessione, il costo sostenuto per fruire del ‘buon nome’ dello studio titolare del marchio e, quindi, per incrementare la propria clientela, era senz’altro inerente all’esercizio dell’attività professionale svolta dal contribuente e, pertanto, deducibile nella determinazione del reddito di lavoro autonomo; nei confronti del professionista ‘cedente’, invece, si è affermato, in conformità alla Risoluzione n. 108/2002 (oramai superata), l’assoggettamento a tassazione del compenso quale ‘reddito diverso’ ex art. 67 Tuir.

E’, tuttavia, chiarito che l’interpretazione sopra detta, ovvero la tassazione ex art. 67 Tuir, è da ritenersi superata a seguito dell’intervento del comma 1-quater dell’art. 54 Tuir, come anche confermato dalle interpretazioni dell’Agenzia delle Entrate nella citata Risoluzione n. 255/2009.

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Cessione studio professionale – Cessione del Brand – Reddito di lavoro autonomo