Cedesi studio commercialista: abuso del diritto, cessione di quote non riqualificabile in cessione di azienda

a cura di MPO & Partners

Molto spesso per svolgere l’attività di acquisizione, analisi ed elaborazione dati il professionista si avvale di una struttura costituita sotto forma societaria. In questo caso la cessione dello studio professionale può realizzarsi sia mediante un contratto di cessione di azienda o di ramo d’azienda (oggetto di ulteriori approfondimenti) sia attraverso la cessione di partecipazioni.

Un’operazione di cessione di quote di uno studio commercialista (tributarista, consulente del lavoro, etc) consiste nel trasferimento di proprietà di una partecipazione che si possiede all’interno di una società e può trovare applicazione per tutte le professioni, con le eventuali limitazioni previste dalle normative vigenti, per le quali è data la possibilità di svolgimento sotto forma societaria.

Nel caso in esame in le parti si interrogano sulla possibile riqualificazione da parte dell’Amministrazione Finanziaria del contratto di cessione quote in una cessione di azienda\ramo d’azienda. Tali dubbi hanno origine dal contenuto dell’atto in quanto esso comprende tutta una serie di clausole quali l’affiancamento, la non concorrenza, l’adeguamento del fatturato, solitamente non presenti negli atti di cessione di quote ma tipiche degli atti di cessione di studio di commercialista (o di altri professionisti).

A parere dello scrivente tali preoccupazioni appaiono ingiustificate se si considera il quadro normativo, giurisprudenziale e la prassi italiana. In particolare, si pensi al chiarimento fornito dalla relazione governativa al D. Lgs. 358/1997 (che ha introdotto nel nostro ordinamento l’art. 37-bis DPR 600/1973 in materia di accertamento delle imposte dirette) laddove rileva che nella scelta tra cedere aziende o cedere partecipazioni non si configura aggiramento di obblighi o divieti in quanto il contribuente sceglie la via fiscalmente meno onerosa tra gli strumenti che il sistema fiscale pone su un piano di sostanziale parità.

Ad oggi l’art. 37-bis consente all’Amministrazione finanziaria, nell’ambito delle imposte dirette, di disconoscere i vantaggi tributari conseguiti mediante atti, fatti e negozi, anche collegati tra loro se privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e diretti ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti.
Dunque, in considerazione di quanto sopra esposto, si ritiene che in sede di cessione di uno studio di commercialista, qualora fosse organizzato sotto forma societaria, la conseguente cessione di partecipazioni possa configurarsi elusiva soltanto nei casi in cui realizzi, in assenza di valide ragioni economiche, un atto preparatorio o successivo rispetto ad una più complessa operazione di riorganizzazione aziendale (es. trasformazione, scissione, fusione, conferimento, etc.).

Ad avvalorare l’assenza di elusività nell’operazione di cessione di quote, anche totalitaria, oltre alla già costante giurisprudenza e prevalente prassi (Cfr. Cass. Civ. Sez. III, Sent. 07/07/2010 n. 16030; Cass. Civ. 28/03/1981 n. 1786; Comm. Trib. Centr. Sez. VII, Decis. 03/08/1984 n. 7826; Risoluzione 28/03/1983 n. 251368 – Min. Finanze; Risoluzione 05/06/1989 n. 310356 – Min. Finanze; Studio n. 170/2011/T Consiglio Nazionale del Notariato) è intervenuta l’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 93/E del 17/10/2016.

Infatti, rileva L’amministrazione finanziaria, per avere una condotta che si configuri come abuso del diritto devono coesistere i tre seguenti presupposti:

  1. La realizzazione di un vantaggio fiscale “indebito”, costituito da “benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario
  2. L’assenza di “sostanza economica” dell’operazione o delle operazioni poste in essere consistenti in “fatti, atti e contratti, anche tra loro collegati, idonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali
  3. L’essenzialità del conseguimento di un “vantaggio fisale”

Pertanto l’assenza di uno dei tre presupposti costitutivi dell’abuso determina un giudizio di assenza di abusività

Dunque, qualora la cessione dello studio di commercialista (o di altri professionisti) avvenga attraverso il negozio giuridico della cessione di partecipazioni, tale operazione non può configurarsi quale cessione di azienda.

MPO & Partners

Cedesi studio commercialista, tributarista, consulente del lavoro e CED

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