Tutti noi sappiamo che il modello classico di studio professionale (singolo professionista, generalista e fortemente caratterizzato dalla figura del titolare) non riesce più a fornire una risposta adeguata al mercato e che l’aggregazione fra professionisti costituisce una delle possibili soluzioni per superare la sua crisi. Detto ciò, è indiscutibile che aggregarsi significa rinunciare ad una parte della propria sovranità e che costituire con dei colleghi una stp o uno studio associato comporta la necessità di condividere onori ed oneri della gestione dell’attività professionale.
Per questi motivi diviene fondamentale ragionare sulle regole della convivenza e cercare di risolvere preventivamente le possibili criticità che fisiologicamente potranno emergere nel corso della stessa. Senza alcuna pretesa di esaustività, vediamo quali possono essere le questioni principali su cui concentrare l’attenzione in sede di redazione dello statuto di una stp o di uno studio associato.
Diritti particolari dei singoli soci L’art. 2468, 3° comma, c.c. stabilisce che l’atto costitutivo di una srl può prevedere
l’attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società o la distribuzione degli utili.
L’attribuzione di diritti particolari trova frequente applicazione nell’ambito delle società tra professionisti, ma anche, e ancor prima, nell’ambito delle associazioni professionali, ove sovente i soci fondatori hanno l’interesse a riservarsi determinati privilegi, al fine di tutelarsi in relazione al pericolo di eventuali azioni ostili poste in essere da parte di nuovi soci. Si può prevedere pertanto che esistano soci A (soci fondatori/promotori) e soci B (spesso definiti associati): i primi con diritto di voto e ripartizione degli utili; i secondi sovente solo con diritto alla ripartizione degli utili e/o comunque ad un compenso legato ai risultati. Ai soci A (o solo ad alcuni di essi) vengono talvolta attribuiti anche altri diritti particolari, fra cui:
- il diritto di prelazione per l’acquisto di partecipazioni con preferenza rispetto ai soci di categoria B
- il diritto a cedere le proprie partecipazioni senza essere assoggettato ai limiti eventualmente previsti dallo statuto
- il diritto di veto sull’ingresso di nuovi soci all’interno dello studio
- una diversa valorizzazione delle proprie partecipazioni in caso di liquidazione delle medesime.
Trasferimento delle partecipazioni – ingresso di nuovi soci. Alcuni statuti di Stp prevedono che la cessione di partecipazioni a terzi sia condizionata al consenso unanime dei soci. La previsione di un vincolo così rigoroso è legata ad una impostazione della stp ancorata al modello di vecchio studio professionale.
Tale previsione trova parziale giustificazione nel carattere personale dell’attività professionale, ma essa risulta ora superata dai tempi e controproducente per gli interessi dei soci. Appare più moderna e proiettata verso una imprenditorializzazione delle attività professionali, una soluzione che preveda delle maggioranze qualificate o al limite, se proprio necessario, un diritto di veto per i soli soci fondatori.
Una soluzione intelligente può essere quella di prevedere delle clausole di gradimento per l’ingresso di nuovi soci, ma in tal caso sarebbe preferibile indicare dei criteri di massima a cui doversi uniformare (ad esempio esclusione dell’ingresso di nuovi soci che non abbiano determinati curricula o che siano oggetto di procedimenti penali/disciplinari o che svolgano altre attività non compatibili con quella esercitata dalla Stp etc.).
Per il trasferimento delle quote sarà previsto sempre un diritto di prelazione in favore degli altri soci ed una regolamentazione della procedura di esercizio di tale diritto. Anche la previsione di un trasferimento mortis causa delle partecipazioni appare antiquato, mentre appare più opportuna lasciare alla società la facoltà di scegliere fra la successione (se ne sussistono le condizioni soggettive) e la liquidazione della quota.
Recesso del socio – valutazione della sua quota. Il tema del diritto di recesso del socio è forse quello più delicato ed importante da disciplinare. In assenza di una disciplina statutaria varranno le regole di cui all’art. 2285 c.c. per le società di persone e per gli studi associati (considerati società semplici) ed all’art. 2473 c.c. per le società a responsabilità limitata (struttura generalmente utilizzata per le stp). Sintetizzando, tali norme prevedono un diritto di recesso per giusta causa nel caso di società di persone ed un diritto di recesso limitato a situazioni di natura straordinaria nel caso di srl. Inoltre, in assenza di una disciplina statutaria, la liquidazione della quota del socio uscente dovrà essere effettuata ai sensi dell’art. 2289 c.c. per le società di persone (“in base alla situazione patrimoniale della società”) ed ai sensi dell’art. 2473 c.c. per le srl (“tenendo conto del suo valore di mercato”).
La disciplina codicistica in tema di recesso del socio non appare idonea a tutelare le esigenze dei professionisti che svolgono l’attività tramite stp o studi associati. Il socio professionista è sostanzialmente un socio operativo, non un mero socio di capitale e, pertanto, deve essere prevista una sua maggior libertà di recesso, in quanto, qualora sorgano problemi di convivenza fra i soci, si dovrà evitare che l’esercizio della professione venga fortemente ostacolato e penalizzato dal vincolo societario/associativo. Ciò a maggior ragione se si consideri che un professionista può, per legge, partecipare solo ad una stp.
É evidente che il diritto di recesso dovrà essere strettamente legato all’individuazione dei criteri di valutazione della quota del socio uscente. Così, ferma restando l’ipotesi di recesso per giusta causa (di cui sarà utile fornire qualche esemplificazione), si potrà prevedere, ad esempio, una minore o inesistente valorizzazione in caso di recesso esercitato entro un determinato periodo temporale e/o una crescita della valorizzazione con l’allungarsi della permanenza del socio all’interno della società/associazione professionale.
Infine, sarà fondamentale disciplinare all’interno dello statuto il metodo di determinazione del valore della quota, in quanto il mero riferimento alla “situazione patrimoniale della società” o al suo “valore di mercato” risultano inidonei a soddisfare le esigenze di una organizzazione professionale. Sarà pertanto fortemente consigliabile indicare nello statuto un modello di valutazione, fra tutti quello basato sui multipli di mercato calcolati tramite l’analisi di regressione, metodo idoneo a quantificare il valore di un’attività professionale, allineandolo al meglio alle effettive condizioni di mercato.