Società Tra Avvocati: ora anche multidisciplinari

Com’è noto, mediante la costituzione di una S.T.P. più professionisti, con l’eventuale apporto di soci non professionisti, possono organizzare ed esercitare la propria attività professionale in forma societaria (per una trattazione dei caratteri essenziali della S.T.P. si rinvia al precedente contributo Trasformazione delle società di servizi in S.T.P.).

L’art. 10, co. 8 L. 183/2011 permette la possibilità di costituire STP “anche per l’esercizio di più attività professionali” (c.d. S.T.P. multidisciplinari).

Tuttavia non tutti i professionisti possono fare parte di una STP.

Ad es.: i notai non possono proprio essere soci di STP (nemmeno tra soli notai), mentre gli infermieri possono esercitare la professione in forma associata solo tramite le cooperative sociali ex L. 381/91.

L’eccezione più importante, comunque, è costituita dagli avvocati.

Scopo del presente contributo è quello di fornire un quadro, sia pure sintetico, della “travagliata” evoluzione normativa delle società tra avvocati.

1) Il primo intervento del legislatore italiano per regolamentare l’esercizio delle professioni (in generale) in forma associata è stata la Legge 1815/1939, che, in estrema sintesi, regolamentava gli studi professionali associati, vietando ogni altra forma di esercizio associato di attività professionali.

2) Più di sessant’anni dopo, con il D.Lgs. 96/2001 venne istituita la società tra avvocati.

L’art. 16 stabiliva che “L’attività professionale di rappresentanza, assistenza e difesa in giudizio può essere esercitata in forma comune esclusivamente secondo il tipo della società tra professionisti, denominata nel seguito società tra avvocati.”

Mentre all’art. 21 veniva chiarito che “i soci della società tra avvocati devono essere in possesso del titolo di avvocato”.

Quindi era espressamente esclusa la partecipazione di altri professionisti, che non fossero avvocati.

3) Il D.L. 223/2006 abrogò il divieto di fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti.

Si crearono quindi contrasti interpretativi se detta norma avesse o meno abrogato il divieto di cui al summenzionato D.Lgs. 96/2001.

Pur in un clima di profonda incertezza, la disciplina speciale dettata dal D.Lgs. 96/2001 si ritenne prevalente su quella, successiva ma generale (cioè relativa a tutti i professionisti), di cui al D.L. 223/2006.

4) Con riferimento agli avvocati, nulla cambiò nonostante l’introduzione, nel nostro ordinamento, delle società tra professionisti (in generale), avvenuta con la L. 183/2011.

Infatti l’art. 10, co. 9 della suddetta legge faceva salvi “i diversi modelli societari già vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge”.

Quindi: anche dopo il 12 novembre 2011 un avvocato avrebbe potuto esercitare la professione in forma comune solo in una STA ex D.Lgs. 96/2001 e solo con altri avvocati.

5) Il quadro non sembrò cambiare nemmeno con la legge di riforma della professione forense (L. 247/2012), che, all’art. 5, nella sua formulazione originaria, delegava il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, un decreto legislativo al fine di “prevedere che l’esercizio della professione forense in forma societaria sia consentito esclusivamente a società di persone, società di capitali o società cooperative, i cui soci siano avvocati iscritti all’albo” e disciplinare compiutamente le “nuove” società tra avvocati.

6) Il termine di sei mesi trascorse senza esito e ritornò, pertanto, il clima di profonda incertezza sulla possibilità, o meno, per gli avvocati di esercitare la professione, insieme ad altri professionisti, in S.T.P. (o S.T.A. multidisciplinari).

La questione approdò alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

7) Nelle more, tuttavia, il legislatore intervenne di nuovo.

E si trattò di un intervento “a gamba tesa”!

Infatti, con la L. 124/2017, venne abrogato l’art. 5 della L. 247/2012 e venne introdotto, sempre nella legge professionale forense, l’art. 4bis, che detta una disciplina, piuttosto esaustiva, delle “nuove” società tra avvocati.

La principale innovazione consiste, appunto, nell’apertura ad altri professionisti e, in misura non superiore ad un terzo di capitale sociali e diritti di voto, a soci non professionisti.

8) Preso atto della suddetta (ennesima) riforma, la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con sent. n. 19282 del 2018 ha quindi chiarito che “Dal 1.1.2018 l’esercizio in forma associata della professione forense è regolato dalla L. n. 247 del 2012, art. 4- bis che – sostituendo la previgente disciplina contenuta nel D.Lgs n. 96 del 2001, art. 16 e ss. – consente la costituzione di Società di persone, di capitali o cooperative i cui soci siano, per almeno due terzi del capitale sociale e di diritti di voto, avvocati iscritti all’albo, ovvero avvocati iscritti all’albo e professionisti iscritti in albi di altre professioni, società il cui organo di gestione deve essere costituito solo da soci e, nella sua maggioranza, da soci avvocati”).

Pertanto, è vero che ora, gli avvocati non possono esercitare la professione mediante STP ma sono (ancora) obbligati a farlo mediante STA.

Ma è altrettanto vero che, ora, le “nuove” STA, regolate dall’art. 4bis L. 247/2012, sono molto più simili, rispetto al passato, alle STP (fa eccezione ad es. la composizione dell’organo di gestione) e sono ora aperte anche a soci professionisti-non avvocati e, seppur limitatamente, a soci non professionisti