La rilevanza fiscale della plusvalenza realizzata dalla cessione quote di uno studio associato

Abbiamo più volte evidenziato le motivazioni per le quali si sta assistendo ad una spinta nelle aggregazioni tra professionisti. In primis la maggior concorrenza che ha comportato, di fatto, una compressione dei fatturati. Un altro fattore, non meno importante, è da ricercarsi nell’estensione delle aree di competenza derivato da un aumento della domanda specialistica da parte della clientela.

Entrambi questi fenomeni hanno determinato una significativa spinta per gli studi professionali ad organizzarsi secondo modelli più complessi, in grado di far fronte all’evoluzione del mercato e di lavorare secondo criteri aziendali di autonomia organizzativa e massima redditività.

Tale riorganizzazione dell’attività professionale si può concretizzare anche mediante la cessione delle quote di partecipazione nell’associazione professionale.

Pertanto, nell’ipotesi in cui l’attività professionale sia esercitata in forma aggregata, tramite il classico studio associato, emerge il problema di individuare il corretto trattamento fiscale applicabile al professionista che intende trasferire ad altro professionista la propria quota dietro pagamento di un corrispettivo.

La materia in tali circostanze non è ben definita.

Infatti, l’art. 67 del T.U.I.R (più precisamente le lettere c) e c) bis del primo comma) esclude esplicitamente dalla tassazione tra i redditi diversi le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni in associazioni professionali ma la lettera

l, primo comma dello stesso articolo prevede, invece, l’imponibilità dei “redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere”.

Secondo quest’ultima disposizione, quindi, le plusvalenze derivanti dalla cessione della quota associativa potrebbero essere ricondotte a tassazione tra i redditi diversi se collegate all’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere (obbligazioni individuate dalla Cassazione con la Sentenza 2860/2010).

Se così fosse occorrerebbero precise istruzioni da parte dell’Amministrazione Finanziaria sulle modalità di calcolo delle suddette plusvalenze da assoggettare a tassazione con tutte le problematiche che affronteremo nel corso dell’articolo.

Tuttavia, si deve rilevare che in tal modo, riconducendo la relativa tassazione tra i redditi diversi, si creerebbe una differenza di trattamento rispetto ai professionisti individuali per i quali i corrispettivi percepiti a seguito della cessione della clientela vengono tassati in modo ordinario in quanto rientrano nell’ambito dei redditi di lavoro autonomo (Ai sensi dell’articolo 54, c. 1-quater del T.U.I.R.)

Solo prima del 2006, ovvero prima del Decreto Bersani, per i professionisti individuali la fattispecie era ricompresa tra i redditi diversi: in particolare, la Risoluzione AE n. 108/2002 (risposta all’interpello di un professionista individuale che chiedeva chiarimenti sul corretto trattamento fiscale applicabile alla cessione del ramo operativo dell’attività e relativa clientela) aveva chiarito che il corrispettivo era da assoggettare a tassazione tra i redditi diversi in quanto tra il “cedente” e il “cessionario” si realizzava un rapporto di tipo obbligatorio con l’assunzione di obblighi ben precisi da parte del “cedente”.

Come sopra precisato, attualmente la Risoluzione, riferita ai professionisti individuali che incassano dei corrispettivi a seguito del trasferimento a titolo oneroso della propria clientela, è da ritenersi superata per effetto del disposto normativo dell’art. 54 c. 1-quater Tuir.

Di conseguenza, sarebbe utile un primo chiarimento sull’applicabilità o meno dell’art. 67 del T.U.I.R. ai professionisti associati che intendono trasferire a titolo oneroso la propria quota di partecipazione nell’organismo associativo.

Invero, il recesso di un professionista da uno studio associato è stato trattato dall’amministrazione finanziaria ma solo con riferimento al trattamento fiscale dell’indennità corrisposta dallo studio al professionista senza autonoma partita iva (Risoluzione n. 142/2008): l’Agenzia ha ritenuto l’operazione irrilevante ai fini IVA (nessun obbligo per il professionista che recede) e l’indennità di recesso soggetta a tassazione separata (art. 17, c. 1, lett. l del Tuir) in capo all’associato uscente. Tale argomento è stato oggetto di precedenti contributi ai quali si rinvia per approfondimenti.

Come accennato precedentemente un altro aspetto molto importante da rilevare è come, eventualmente, calcolare l’eventuale plusvalenza in relazione anche al costo fiscalmente riconosciuto (al quale confrontare il corrispettivo incassato da parte cedente) delle quote di partecipazione a un’associazione professionale.

Cercando di seguire un filo logico potremmo partire dal contenuto dell’articolo l’articolo 67, comma 1, lettere c) e c-bis), del Tuir il quale prevede l’esclusione dalla tassazione delle plusvalenze derivanti dal trasferimento delle quote di partecipazione nelle associazioni professionali.

Bene, ma se vi è un’esplicita esclusione dalla tassazione per le plusvalenze relative a questa tipologia di operazione come posso attribuire alle quote di partecipazione un proprio valore iniziale fiscale riconosciuto?

Si ricorda, infatti, che solo dal momento in cui l’emersione di una plusvalenza genera materia imponibile fiscale ha senso il calcolo del valore fiscalmente riconosciuto.

Ad oggi, dunque, considerata anche l’elevata tendenza verso le aggregazioni professionali, la materia del recesso del professionista dallo studio associato e relativa cessione della quota a titolo oneroso dovrebbe essere opportunamente chiarita dal legislatore o dall’Amministrazione Finanziaria.

Infine, sarebbe utile distinguere il corretto trattamento fiscale applicabile, sia ai fini Iva che delle imposte dirette, a seconda che i professionisti (cedente e/o acquirente) siano o meno titolari di un’autonoma partita Iva.